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Berrettini, l’uomo Slam non muore mai: con Ruud a New York sa già come si fa

Matteo Berrettini
Matteo Berrettini - Foto Ray Giubilo

Alcune volte è ingiocabile, altre deve stringere i denti e soffrire. Nel frattempo Matteo Berrettini ha raggiunto i quarti di finale negli ultimi cinque tornei dello Slam a cui ha preso parte. Ed agli US Open, dove ci è arrivato per la terza volta nelle passate quattro edizioni, i margini per andare ulteriormente avanti sono più che mai concreti. Perché un campione lo si vede quando riesce a vincere ricercando soluzioni anche nelle giornate in cui trovare la giusta continuità sembra un miraggio. Quando il servizio ed il dritto non martellano come al solito, ecco che riesce a raschiare dal fondo del barile tutte quelle risorse di riserva presenti solamente nel bagaglio dei grandissimi giocatori.

Un cuore che non smette di battere anche quando gli avversari sembrano saper escogitare il modo di mettere a nudo carenze su cui Berrettini ogni giorno lavora per completarsi. Rimanere in vita, uscire trionfatore da un’altra battaglia, era fondamentale per alimentare un sogno che lo vede partire leggermente favorito contro Casper Ruud. Il norvegese, tanto per la cronaca, diventerebbe numero uno del mondo da lunedì prossimo qualora vincesse il titolo e Carlos Alcaraz non dovesse raggiungere la finale. È un giocatore tostissimo da affrontare. Qualche anno fa quasi tutti lo avrebbero definito un ‘terraiolo’.

Oggi è temibile anche sul veloce, dove ha conquistato il 49.3% dei suoi attuali punti in classifica. Ci è riuscito grazie ad una mentalità superiore. Ha capito che per restare in pianta stabile in top ten bisognava lavorare a testa bassa su ogni minimo dettaglio. Il servizio ed il dritto fanno paura e non è una novità. Ormai, però, anche il rovescio sta diventando un colpo parecchio solido. Il tutto è accompagnato da una predisposizione alla lotta ineccepibile e da una testa che non cala di concentrazione dai tempi della scuola materna. I precedenti dicono 3-2 in suo favore ma Berrettini si è aggiudicato facilmente l’unico andato in scena sul duro, quel terzo turno risolto in tre set proprio a New York nella famosa edizione della pandemia.

Per il romano c’è da vendicare la finale a Gstaad dello scorso fine luglio. Appena rientrato dalla positività al Covid-19, in quell’occasione ha dovuto cedere in primis fisicamente e poi tecnicamente di fronte a Ruud, bravo a vincere il tie-break del secondo set per poi portarla a casa in rimonta. Il match aprirà il programma dell’Arthur Ashe alle ore 18:00 italiane. Il martello di Berrettini contro la compattezza di Ruud. Da sempre il contrasto di stili è garanzia di spettacolo e, su un palcoscenico di questo tipo, sarà ancora tutto più bello.

L’ALTRO QUARTO – Per chi vince ci sarà in semifinale uno tra Nick Kyrgios o il russo Karen Kachanov. Motivazione, predisposizione al sacrificio, una ritrovata rilassatezza che lo fa stare bene in campo e fuori, questi tre pilastri uniti tra loro ci hanno restituito un professionista a tutto tondo (un grande giocatore lo è sempre stato). La vittoria contro il campione uscente Daniil Medvedev catapulta di diritto l’australiano tra i favoriti di quest’edizione. Un dominio tecnico e mentale nei confronti di un avversario che solitamente è lui far impazzire tutti gli altri in campo. Ma la nuova stabilità del tennista aussie è reale. Un tempo New York lo distraeva, al massimo aveva raggiunto il terzo turno a Flushing Meadows. Quest’anno è diverso.

Si è presentato qui con le idee molto chiare quasi sentendosi in debito con il pubblico americano per non avergli mai mostrato il vero Nick. “Qui ci sono un sacco di celebrità, di persone importanti. Io voglio solo andare in campo a testa bassa e dimostrargli che posso giocare bene e vincere le grandi partite”, così Kyrgios dopo il successo sul numero uno del mondo agli ottavi di finale. L’impressione dall’esterno è che abbia raggiunto un equilibrio impensabile solamente fino a qualche mese fa.

Ci è riuscito senza un allenatore ma grazie ad un gruppo di amici in grado di coccolarlo e di seguirlo passo passo nei tornei facendogli sentire di meno la solitudine e la nostalgia di casa. L’incontro con Kachanov, contro cui è 1-1 nei precedenti, andrà in scena come ultimo sull’Arthur Ashe. Senza Novak Djokovic, che lo ha fermato a Wimbledon, chissà che il ragazzone di Canberra non possa rifarsi clamorosamente a New York.

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