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Tennis nel caos, dal circuito Challenger: “Noi giocatori non sappiamo nulla”

Fabrizio Ornago - Foto Maddalena
Fabrizio Ornago - Foto Maddalena

Incertezza, disagio, paura. Il mondo del tennis vive, come gli altri settori, un periodo estremamente complicato a causa della diffusione del coronavirus, definita pandemia dall’OMS.

Sono in Sudafrica, sto disputando il Challenger di Potchefstroom – racconta il lombardo Fabrizio Ornago, che ad aprile compirà 28 anni –. Qui stanno cercando di attuare accorgimenti adeguati, ma secondo me lo fanno con poca coerenza. Se giustamente non posso farmi portare asciugamano e acqua dai raccattapalle in campo, perché poi in players lounge mi passano le bottigliette dall’apposito bancone tenendole dal tappo?”.

Impossibile, ovviamente, stabilire la programmazione delle prossime settimane: “Cancellano tornei da un momento all’altro, ma mantengono la deadline delle cancellazioni 21 giorni prima dell’inizio degli stessi, è un paradosso. E allargare i tabelloni di alcuni tornei ad un numero maggiore di partecipanti non è la soluzione: si crea un affollamento incredibile che non ha nulla a che vedere con le competizioni ‘normali’ e che penalizza chi ha la classifica ‘giusta’ per scendere in campo”.

L’ATP non sembra intenzionata ad interrompere il circuito – prosegue il numero 406 del mondo, e penso che neanche l’ITF voglia farlo. Noi giocatori non sappiamo nulla. Forse sospendere il circuito maggiore spingerebbe quelli minori a far lo stesso. La situazione è molto spiacevole, ho tanti amici che non riescono a giocare e pensate che in Kazakistan (Challenger di Nur-Sultan, ndr) hanno mandato via gli atleti una volta che il torneo era iniziato. Viviamo una realtà alla quale nessuno della nostra generazione è abituato: spero che il mondo imiti la Cina, così da bloccare il più possibile la diffusione del coronavirus”.

Cosa fare a questo punto? “Forse la soluzione migliore sarebbe fermare tutto. Non è giusto che alcuni giocatori possano viaggiare ed altri no, gli interessi economici non possono venire prima della salute. Non è bello stare all’estero senza sapere se e quando potremo tornare a casa, o pensare che questo potrebbe essere il mio ultimo torneo per imposizioni ‘mirate’ agli italiani. Navighiamo nell’incertezza, tra la possibilità di giocare determinati tornei e la consapevolezza che, forse, sarebbe meglio restare tutti a casa”.

 

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