Editoriali

Roger, sono finiti gli aggettivi: la prossima volta scrivitelo tu

Roger Federer - Foto Ray Giubilo

Era l’occasione perfetta per l’ultima grande impresa. Si giocava sul duro, l’avversario era forte ma tutto sommato battibile: Marin Cilic. Speravo potesse accadere, ma niente: King Roger è stato spazzato via e francamente non so se avrà un’altra occasione per vincere uno Slam.

No, non abbiamo pubblicato il pezzo sbagliato nè esagerato col limoncello. Le righe sopra le ho pensate nel 2014, dopo la sconfitta di Federer agli US Open in semifinale. All’epoca ero tra quelli che ci speravano, un pelo ci credevo ma a patto di avere un tabellone abbordabile. Tutt’altra storia rispetto al grande digiuno tra gli Australian Open 2010 e Wimbledon 2012, quando ero nella folta pattuglia di quelli che credevano fortemente nel “One More Slam”, possibilmente a Wimbledon, degna chiusura di carriera di un campione che aveva fatto la storia. Già all’epoca, di fronte a un Nadal che diceva sempre la sua e un Djokovic in piena esplosione, tanti erano perplessi: “Ha quasi 30 anni, arriva alle Olimpiadi e si ferma, non ce la fa”. Figuriamoci dopo! Anche il mio possibilismo era sub judice e quegli US Open parevano l’occasione giusta: immediatamente dopo la vittoria di Nishikori su Djokovic in semifinale pensavo che il destino avesse dato una mano (meritata) a Federer. Matosevic, Groth, Granollers, Bautista Agut, Monfils, Cilic, Nishikori: un tabellone senza neanche un Top Ten fino al titolo, chi non ci avrebbe messo la firma? Invece il buon Marin da Medjugorje fece il miracolo e anche io iniziai a pensare che sì, forse era proprio finita lì.

Anche le due finali del 2015 non mi diedero poi chissà quale speranza, con Djokovic vincente senza troppi patemi d’animo. L’unica variabile impazzita che poteva ribaltare il discorso era in un discorso che aveva sempre ritenuto puramente accademico vista la differenza d’età tra Federer e gli altri Fab Four: cosa sarebbe successo quando anche gli altri avrebbero iniziato a perdere colpi? Troppe variabili. Quando sarebbe successo? Ci sarebbe stato ancora Federer? Sarebbe stato competitivo? E le giovani leve? Così, dopo un 2016 insipido, mi preparavo alla rentrèe del 2017 con lo spirito del fan di un grande cantante che segue l’ultimo tour itinerante tappa dopo tappa, consapevole che sarebbero state le ultime apparizioni prima di un onorevole ritiro.

Direbbe Confucio: ritiro un par de cojoni.

Due Slam: Australian Open e Wimbledon (senza perdere un set!). Prima posizione in classifica non raggiunta solo per la scelta (saggia) di saltare il rosso. E in mezzo altri cinque titoli, così, tanto per gradire: Indian Wells, Miami, Halle, Shanghai e Basilea. Quattro su quattro contro Nadal nei confronti diretti e poi ancora in Australia, ad arrivare in finale senza lasciare un set per strada. E ancora Cilic, con Wimbledon da vendicare. Si parte e via: Marin viene spazzato via nel primo set, annaspa a più riprese nel secondo ma riesce a mantenere la barra dritta e a portare a casa un tie-break non facile. Poi, nel terzo, si perde un game e si ritrova sotto due set a uno e un break nel quarto senza capirci molto. E ancora (bravissimo) reagisce, ribalta la situazione, all’inizio del quinto mette in difficoltà Federer sul servizio. Lì pensi che l’inerzia è cambiata, che può starci in fondo, che alla distanza Cilic è avvantaggiato. E ancora Federer decide che da quel momento si gioca al suo tennis e vola verso il ventesimo Slam.

Principe? Re? Imperatore? Famo na cosa, Rogè: dimmelo tu il prossimo soprannome perché ho un problema. Se a 36 anni e rotti vinci ancora Slam come devo chiamarti, Mazinga Z? Ogni volta ti celebro, ogni volta penso che potrebbe essere l’ultima e ogni volta mi ritrovo a pestare tasti. Ho finito gli aggettivi. Ho finito i superlativi. Ho finito le metafore. Allora il prossimo pezzo lo titolo “Boh” e ci metti tu quello che ti pare, ok?

Qualunque cosa scrivi andrà benissimo.

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