Editoriali

Falchi, colombe e pappagalli

A guardar bene, le premesse c’erano tutte e risalivano addirittura al 2012. Esordio del torneo Atp di Sao Paulo, di fronte l’argentino Mayer e il brasiliano Bellucci: a un certo punto Mayer si trova a un passo dalla vittoria e parte l’inferno. Fischi mentre serve, insulti dagli spalti al cambio campo, boati contro i giudici di linea. Praticamente il Maracanà, ma si giocava a tennis.

In questi casi ci sono sempre falchi e colombe: le colombe han dato la colpa all’annosa rivalità tra Brasile e Argentina, i falchi facevano notare che Bellucci aveva sempre una claque che manco in Coppa Davis. E ci si poteva chiedere cosa sarebbe successo alle Olimpiadi. La risposta è semplice: buona parte dei brasiliani tratta qualunque sport come il calcio.

Alle Olimpiadi è stato un crescendo rossiniano. Durante le gare di scherma, infatti, si è potuto assaggiare quale fosse l’approccio dei brasiliani a uno sport che richiede silenzio del pubblico, specie se si tira su due pedane in contemporanea. Il fioretto maschile ha visto gli atleti costretti a fermarsi ogni volta che il brasiliano Toldo piazzava una stoccata perché partiva la torcida. A quel punto le colombe han difeso i rumorosissimi pappagalli carioca parlando di “cultura del tifo” e i falchi han fatto notare che se un atleta si prepara per quattro anni rischiare l’eliminazione perché mentre al momento decisivo un boato lo distrae non è il massimo.

Argomentazioni inappuntabili, tant’è che il CIO ha fatto diffondere annunci nei palazzetti invitando alla calma e il direttore dei Giochi, Mario Andrada, ha provato a spiegare ai tifosi che “Le Olimpiadi non sono il calcio”. La traduzione era facile: “Calmatevi che stiamo facendo la figura dei peracottari”, ma peggior sordo di chi non vuole sentire non c’è. E infatti il tifo assordante è continuato e si è passati allo step successivo, la rissa durante Souza-Del Potro nel torneo di tennis. Ma lì si può concedere il beneficio del dubbio, non conoscendo i motivi della rissa. Poi sono arrivati i fischi verso Hope Solo durante Usa-Svezia di calcio. Anche lì le colombe han tubato versi d’amore, sostenendo che era la Solo ad aver provocato con i tweet sulla zika. Vero, ma così oltre alla Solo, inqualificabile, han condizionato altre dieci disgraziate colpevoli solo di essere sue compagne di squadra.

L’apoteosi è stata la finale del salto con l’asta maschile, quando Lavillenie è stato rumorosamente fischiato da buona parte del pubblico. La sua colpa è stata quella di essere in gara contro un brasiliano, in quel momento al comando. Il francese ha reagito facendo pollice verso e ricevendo altre bordate di fischi in risposta: ha pianto sul podio, a fine gara ha paragonato Rio alle olimpiadi di Berlino del 1936, poi si è calmato e ha espresso di nuovo il concetto “Queste sono le Olimpiadi, non è calcio”. Le colombe han minimizzato, parlando di affetto del pubblico e dicendo (sentita in diretta alla Rai) che Lavillenie avrebbe potuto reagire con un sorriso e i fischi sarebbero cessati. Come se si parlasse di ambasciatori invece che di atleti.

Ora… innanzi tutto va dato atto al resto del pubblico di aver applaudito il francese, anche se sotto “incoraggiamento” dell’atleta brasiliano, ma i fischi erano tanti. È anche vero che gli idioti ci sono ovunque: gli indiani durante la finale di Campriani facevano una caciara assurda, anche i russi sono andati a volte fuori dalle righe. E noi italiani abbiamo i nostri precedenti, tipo i fischi agli avversari della Simeoni agli Europei di atletica del 1974: fossi stato vivo all’epoca, mi sarei vergognato per quei connazionali. Nel frattempo, però, le cose in Italia sono migliorate, tant’è che ieri sul web erano di più quelli che solidarizzavano con Lavillenie rispetto a quelli che parlavano di “Francesi rosiconi”, forse sull’onda emotiva della polemica di Ngapeth nella pallavolo. Eh già, perché c’è chi ha provato a dire anche quello. Ci fosse stato Gibilisco al posto di Lavillenie come minimo avrebbero boicottato i dischi di Toquinho e invocato il richiamo dell’ambasciatore in Brasile, ma visto che a subire era un “cugino” quasi ci godevano.

Mi sentite, cari signori? Vi parla un falco: se questo è lo sport che volete, tenetevelo, ma lasciate stare le Olimpiadi. Una gara di tiro non è Flamengo-Fluminense, dove puoi urlare per novanta minuti. I giochi olimpici non sono questo: ci sono atleti che si preparano per anni, spesso guadagnando uno sputo, solo per inseguire un sogno. E non possiamo negarglielo perché voi subite il fascino bruto del tifoso che fischia l’avversario solo perché non è della sua squadra. Quella non è “cultura del tifo”. E infatti, care colombe, molti di voi sono persone che, e ve lo dico con tutto l’affetto possibile, si ricordano di certi sport solo quando portano medaglie, pensano che il fioretto si una cosa che si fa in chiesa e non sono certi se il tuffo a cufaniello sia o meno disciplina olimpica. Mi auguro che il CIO per il futuro ci pensi e faccia in modo di zittire i pappagalli, a costo di disputare eventi a porte chiuse. L’alternativa è lasciar passare il tifo rumoroso e svilire ulteriormente lo spirito olimpico, già provato da tante decisioni. No, no, no e ancora no. Perché Lavillenie, anche se non l’ha gestita al meglio, ha tutte le ragioni del mondo.

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