Editoriali

Be hungry, be Campriani

Niccolò Campriani - Rio 2016 - Foto Ferraro/Gmt

Lo ammetto, quando Sergey Kamenskiy ha sparato l’ultimo proiettile della Carabina 3 Posizioni da 50 metri sull’8.3, consegnando a Niccolò Campriani un titolo olimpico a quel punto ormai insperato, la prima cosa che ho pensato è stata “Che culo!”. Mi è tornata alla mente la Pistola ad aria compressa delle Olimpiadi di Atlanta, quando tutti eravamo contenti per l’argento di Roberto Di Donna e nessuno pensava all’oro, visto che per vincere al cinese Wang Yifu bastava non sparare a qualcuno del pubblico. Il cinese incredibilmente piantò l’ultimo colpo sul 6,5 e poi ebbe un collasso per la tensione.

Il caso non è uguale, ma simile: se da un lato sembra meno clamoroso perché Kamenskiy doveva fare comunque 8.7 per vincere, dall’altro va detto che il cinese all’epoca era visibilmente teso mentre il russo era una maschera di ghiaccio. Aveva stabilito il record olimpico in qualificazione e disputato una finale al limite della perfezione: pochissimi 9, una marea di 10 e una performance nella posizione in piedi, teoricamente quella più favorevole a Campriani, che l’aveva portato a un passo dall’oro. Quali potevano essere le speranze che quel manichino sbagliasse l’ultimo colpo? Come poteva buttare via l’oro con quella faccia da sosia del cattivo di Air Force One? Eppure è successo, ed io mi sono sentito in colpa per aver pensato al fattore fortuna. Perché?

Semplice, perché quando si vince gli esseri umani, in quanto tali, sono portati al pensiero selettivo. Una squadra di calcio vince difendendosi per novanta minuti? Se è la propria squadra a vincere l’allenatore dirà che i giocatori sono stati compatti e cinici, se è l’avversario che sono stati dei catenacciari (Hope Solo docet). Se la vittoria arriva ai rigori, il tecnico dei vincitori esalterà la freddezza nei momenti decisivi, mentre quello dei perdenti dirà che in fondo i rigori sono una lotteria. E considerando tutto il lavoro che c’è dietro un oro olimpico, anche solo pensare che la fortuna avesse avuto il suo peso mi faceva sentire un po’ in colpa. Chi ci ha pensato a togliermi d’impaccio? Niccolò Campriani stesso!

Queste le sue parole dopo la vittoria come riportate da La Stampa: “Quest’oro è davvero troppo, lo considero un regalo. Il migliore è stato Sergey e io sono quasi imbarazzato. Ho visto che l’ha presa bene, comunque. Queste, però, sono le regole del gioco. E le nuove, che io non ho mai digerito, questa volta mi hanno finalmente premiato”. Parole oneste, che danno la misura di quel grandissimo uomo e campione che è Niccolò Campriani. Parliamoci chiaro, avrebbe potuto dire tranquillamente “Kamenskiy è stato meno freddo di me nei momenti decisivi” oppure “Le nuove regole non c’entrano, in qualificazione ero semplicemente partito senza la giusta tensione perché i punteggi non si portavano alla finale, altrimenti sarebbe stato diverso”. L’avesse detto, nessuno avrebbe osato obiettare. Eppure ha tranquillamente ammesso che l’oro è stato una specie di regalo e che le nuove regole stavolta sono state vantaggiose per lui.

Campriani è un tiratore e in quanto tale è abituato all’idea che ci si ricordi del suo sport solo quando porta medaglie: ci è voluto tanto tempo (e tanti personaggi “spendibili”) alla scherma per emanciparsi un po’, il tiro non ci è ancora riuscito. Lui, poi, è un antidivo: celebra una doppietta olimpica con un sorriso incredulo, quando poco prima aveva accompagnato il brutto ultimo colpo da 9.2 con un sorriso disincantato. Niente drammi, niente scene, un abbraccio alla ragazza che gli ha “prestato” la carabina e via. Eppure, anche non volendo arrivare ai livelli di Mensurati che lo ha definito il “Maradona del tiro”, sicuramente ci troviamo di fronte a un caso atipico: nella sua disciplina è uno che ha il talento di un Carmelo Anthony o di un Sebastian Vettel e allo stesso tempo l’abnegazione di uno Javier Zanetti o di un David Ferrer. Un mix mortale, dal quale poteva nascere soltanto un fenomeno da tre ori (e un argento) olimpici. E titoli mondiali e europei come se piovesse, anche se quelli in prima pagina non ci vanno.

Niccolò ha 28 anni e non sono tanti in uno sport nel quale, pur essendoci un ricambio maggiore rispetto al double trap, gli over 30 possono essere comunque competitivi. A Tokyo potrebbe esserci a difendere i titoli senza problemi (e spero che ci vada), ma in teoria potrebbe essere della partita anche alle Olimpiadi del 2028, quelle in bilico tra l’affascinante ipotesi di Città del Capo e la petroldollarifica idea di Doha. Eppure non sa se a Tokyo ci sarà: tanto stress- ha motivato- Tokyo è lontana, Rio è stata dura, all’ultimo colpo non ne aveva più. E poi ci sono tante altre cose da fare per questo ragazzo con una laurea in Ingegneria Manageriale e un futuro sicuro anche al di fuori dello sport.

Sapete cosa? Se avessi un figlio e decidesse di fare sport gli direi di provare ad essere come Campriani.

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