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“Smetto con il biathlon, ma non pensiate che io possa smettere con lo sport. La competizione è la mia vita, non mi fermerò mai”. Parole e musica di Christian De Lorenzi, che pochi giorni fa ha dato l’addio al mondo del bitahlon ritirandosi dopo tanti anni di onorata carriera. Sei podi, di cui due in prove individuali e quattro in staffetta, oltre a uno splendido settimo posto, seppur con qualche rimpianto, all’Olimpiade di Torino 2006. De Lorenzi, nato a Sondalo (Sondrio) il 18 febbraio 1981 ma vissuto per anni a Bormio, si è concesso ai microfoni di Sportface.it per questa bella e interessante intervista esclusiva.
“La mia storia d’amore con il biathlon? Un colpo di fulmine. Avevo iniziato da piccolo a praticare tanti sport, tra cui lo sci di fondo, ma quando Roberto Vitalini ci propose di provare il biathlon ne rimanemmo tutti affascinati. Ricordo che ci ritrovavamo nel mio garage per allenarci a tirare i primi colpi ad aria compressa con la carabina. In realtà la distanza era di 9 metri anziché 10, ma noi eravamo felicissimi lo stesso. Da quel momento il biathlon ha rappresentato la mia vita: ho disputato tante gare, spesso con buoni risultati e a 17 anni sono entrato nel Gruppo Sportivo dell’Esercito”. I gruppi sportivi militari non sono importanti, bensì fondamentali per poter praticare ad alto livello gli sport invernali, altrimenti costosissimi. “Nel 2010 sono passato dall’Esercito al Corpo Forestale dello Stato. I gruppi sportivi sono fondamentali perché da un lato ti danno la tranquillità di uno stipendio fisso che accompagni la tua carriera sportiva e dall’altro garantiscono un posto di lavoro una volta terminata l’attività agonistica”. Il colpo di fulmine per De Lorenzi non è stato solamente con il biathlon, ma anche con una biathleta, Michela Andreola, oggi sua moglie. “Può sembrare un dettaglio, ma è importante poter parlare con la tua donna di qualcosa che lei conosce, perché potrà comprenderti meglio, soprattutto prima e dopo le gare”.
Christian De Lorenzi ha vissuto la sua stagione d’oro nel 2008/2009, quando a livello individuale ha saputo cogliere due splendidi secondi posti a Kontiolahti e a Khanty-Mansiysk. È del gennaio 2012, invece, il successo a sorpresa nella staffetta maschile azzurra a Oberhof, quando De Lorenzi, Dominik e Markus Windisch e Lukas Hofer terminarono la gara davanti a Russia, Svezia, Germanie e Novergia, il meglio del biathlon mondiale.
“I tre momenti che rappresentano la mia carriera? Parto sicuramente dal primo podio raggiunto in coppa del mondo, un traguardo che sognavo sin da bambino. Il secondo è l’Olimpiade di Torino 2006, durante la quale ho sfiorato il podio nell’individuale arrivando settimo. Sbagliai proprio l’ultimo bersaglio che, se colpito, mi avrebbe permesso di raggiungere un’incredibile medaglia di bronzo. L’ultimo momento non è esattamente un momento, quanto un rammarico: quello di non aver mai conquistato una medaglia in un’Olimpiade o in un Mondiale”.
L’Olimpiade di Torino 2006 è stata un mix di emozioni indescrivibili, una manifestazione che ti entra nelle viscere. Difficile da raccontare, unica da vivere. “L’adrenalina è alle stelle, quando entri nello stadio ti tremano le gambe. Io ho avuto la fortuna di partecipare alla mia prima Olimpiade in casa, a Torino nel 2006, un’emozione che pochi atleti hanno provato nella propria vita. Nell’individuale ero giunto all’ultimo poligono in piedi senza aver mai sbagliato, ma un errore mi è costato il podio. Lì per lì ero felicissimo per il settimo posto raggiunto, ma un’occasione del genere, a Vancouver 2010 e successivamente a Sochi 2014, non mi è più capitata”.
Il biathlon è uno sport in grande crescita in Italia, sia dal punto di vista dei praticanti che, soprattutto, per quanto concerne l’attenzione mediatica. Eurosport racconta, grazie a Dario Puppo e Massimiliano Ambesi, tutte le gare di Coppa del Mondo e inizia ad essere forte la presenza di notizie anche su quotidiani, settimanali e, ovviamente, in rete. “È un momento molto positivo per la nostra disciplina. Il segreto? Credo che tutto nasca dal basso e quindi grande merito va dato ai comitati regionali, in particolar modo quello dell’Alto Adige, che a livello giovanile riescono a fornire le giuste basi ai ragazzi. Tutto nasce da lì, quella è la base. Non bisogna comunque dimenticare l’ottimo lavoro svolto dai tecnici della nazionale e, ovviamente, anche gli Sci Club. L’attenzione mediatica è aumentata esponenziale perché, diciamoci la verità, prima non ci filava nessuno. Adesso, grazie soprattutto a Dorothea Wierer, l’interesse è sempre maggiore. Nel mio piccolo tante persone mi fanno domande e chiedono informazioni sulle gare, sugli atleti, vogliono le cartoline dei biathleti”. Aumenta l’attenzione mediatica e, di conseguenza, anche la pressione sugli atleti. “Si, è l’altra faccia della medaglia. Al Mondiale vedevo Dorothea tesissima, perché tutti si aspettavano grandi risultati da lei. L’aver conquistato un secondo posto l’ha un po’ tranquillizzata, ma la pressione era davvero tanta. Per essere grandi, però, la pressione bisogna combatterla e vincerla e così dovranno fare tutti i nostri ragazzi nei prossimi anni. Tornando a Dorothea, credo sia la miglior pubblicità per il nostro sport”.
L’Italia del biathlon sta ottenendo grandi risultati e, soprattutto, una invidiabile continuità. La coppa di specialità vinta da Dorothea Wierer nell’individuale è solamente la punta di un iceberg. E pensare che gli azzurri non hanno un budget minimamente comparabile con quello delle grandi potenze europee, dalla Germania ai paesi scandinavi passando per la Francia. “Per fare un paragone, potremmo dire che le grandi nazionali del biathlon hanno le possibilità economiche della Juventus, mentre noi siamo il Chievo Verona. Il che vuol dire che i meriti dell’Italia, della federazione e dei tecnici sono davvero molto rilevanti”.
La parte mentale nel biathlon è evidentemente fondamentale. Ma come si fa a rimanere freddi al poligono, con il pubblico che esulta ai bersagli colpiti da chi ti è accanto? E quando un bersaglio può significare medaglia? “Il biathlon è uno sport molto particolare, perché quando sei sugli sci devi essere aggressivo, mentre al poligono bisogna trovare freddezza ed estrema concentrazione. Quando 20.000 spettatori creano un frastuono pazzesco è difficile rimanere calmi, il segreto è riuscire ad isolarsi. Se si riesce in questo intento si è a metà dell’opera”.
Una carriera lunga e ricca di soddisfazioni quella di Christian De Lorenzi, che oggi guarda alla sua “nuova” vita. “Faccio parte del Gruppo Forestale dello Stato e quindi sarò a loro disposizione per il mio incarico professionale, chiedendo un trasferimento vicino a casa. Cercherò inoltre di dare una mano allo Sci Club Alta Valtellina, qui dalle mie parti, portando la mia esperienza e le mie conoscenze ai ragazzi. Il fatto che abbia lasciato il biathlon non significa che smetterò con lo sport, anzi”. Domenica De Lorenzi parteciperà alla 50 km degli assoluti di sci fondo a Monte Bondone (“Un sogno che ho da quando ero bambino e mi sembrava giusto chiudere lì”) senza considerare le gare in bici. “Perché ho la competizione nel sangue. Chi vive di sport non può smettere di gareggiare”. E intanto l’interista De Lorenzi proverà a vincere in un’altra sua grande passione: il fantacalcio. “Da anni ormai gioco insieme a 10-12 amici. Io sono il presidente e notaio, organizzo tutto. Questa stagione? Sono terzo, ma confido molto negli acquisti di gennaio El Sharaawy e Cerci. Magari rimonto e vinco…”.
Una carriera legata al suo grande amore biathlon, una vita da dedicare allo sport e alla famiglia. Christian De Lorenzi è pronto a un’altra avventura, una nuova sfida da affrontare che, sicuramente, sarà piena di successi.
La squadra azzurra saluta Christian De Lorenzi #wearefisi pic.twitter.com/ntgxlMQxz0
— Fisiofficial (@Fisiofficial) 12 marzo 2016