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L’erba di Wimbledon è sempre più serba: Djokovic vince per la settima volta, Kyrgios non è ancora pronto

Novak Djokovic
Novak Djokovic - Foto Ray Giubilo

Novak Djokovic ha vinto il torneo di Wimbledon. Lo ha fatto per la settima volta, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ormai rischia di diventare inutile rimarcare come il serbo sia il giocatore più forte in circolazione sull’erba e come ogni match che giochi (e vinca) gli consenta di scrivere la storia di questo sport. Nonostante ben sei set persi nel suo percorso sui prati londinesi e qualche piccolo passaggio a vuoto, Djokovic ha sempre dato l’impressione di essere in controllo delle operazioni. Un proverbio dice “Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto, devi fare qualcosa che non hai mai fatto” e Nole lo ha fatto, battendo Nick Kyrgios per la prima volta in carriera (2-0 i precedenti in favore dell’australiano) per conquistare il suo 21° slam e staccare Federer nella classifica all-time (al momento è secondo solamente a Nadal con 22). Ora sono ben sette i titoli vinti a Wimbledon dal serbo, anche in questo ranking secondo (ma stavolta alle spalle di Federer con 8). Numeri a parte, partita dopo partita e torneo dopo torneo, Djokovic conferma di essere uno dei giocatori più forti della storia e non cala neppure con l’età che avanza. A volte infatti ci dimentichiamo che il tennista di Belgrado non è più un ragazzino, ma ha ben 35 anni. D’altronde, però, quando i primi due slam della stagione li vince un tennista persino più ‘vecchio’ di lui di un anno, allora la considerazione da fare è chiara. Ci sono pochi dubbi sul fatto che stiamo vivendo un’era che comprende quattro dei più forti di sempre di questo sport. Parliamo di Federer, Nadal, Djokovic e anche Serena Williams, che in quattro hanno vinto ben 86 slam. Numeri da capogiro dei quali forse ancora non ci rendiamo conto.

Nonostante la vittoria, è inevitabile che si inizi a pensare già all’amarezza di non vedere Nole agli US Open. Il serbo non è vaccinato (e non ha alcuna intenzione di farlo) e, stando alle regole odierne, non potrebbe mettere piede in America. Le regole sono regole e, come tali, vanno rispettate: allo stesso tempo piange il cuore nel vedere un tennista che ha ancora una manciata di anni di carriera davanti a sé dover saltare un torneo per ragioni extra-tennistiche. La speranza è che si riesca a trovare un accordo (evitando la pagliacciata australiana) e che lo slam americano riesca a ridare al tennis ciò che è mancato quest’anno sia a Melbourne che a Londra, ovvero tutti i protagonisti al completo. Djokovic si gode la vittoria londinese ma deve fare i conti anche col rovescio della medaglia: da domani sarà infatti numero 7 del mondo (ripetiamo, numero 7) poiché non ha potuto difendere i punti derivanti dalla vittoria dello scorso anno. Poco male, visto che di fatto sa – come tutti – che la sua reale classifica è un’altra; fatto sta che nei prossimi tornei che giocherà potrà essere una mina vagante e c’è il rischio che rimescoli le carte in tavola.

In tutto ciò non è stato menzionato Nick Kyrgios, che alla sua prima finale slam non ha sfigurato affatto. L’australiano è stato sé stesso fino alla fine, nel bene e nel male, ed è entrato a far parte della cerchia ristretta di coloro che nella finale sui prati di Church Road si sono esibiti in tweener o servizi da sotto. Kyrgios quest’oggi ha fatto un po’ le veci di Matteo Berrettini lo scorso anno. Entrambi alla prima finale slam, molto a loro agio sull’erba e con un grande servizio, hanno vinto il primo set e giocato una partita più che positiva nel complesso. Dall’altra parte della rete c’era però un alieno, emerso alla distanza e spietato nel prendersi la vittoria. L’unico rimpianto che può avere Nick è proprio quello di aver sfidato un avversario ingiocabile come Nole, che gli ha permesso di fare poco e niente (tolto il primo set) grazie ad un tennis estremamente efficace. In tutta onestà è difficile pronosticare se Kyrgios riuscirà in futuro a giocare altre finali slam. L’australiano resta un tennista che dà il meglio di sé in lassi di tempo brevi (dunque tornei che si disputano nell’arco di 7 giorni e non di due settimane) e lo ha ribadito anche a fine match. “Sono stanco, ho bisogno di riposo” ha spiegato il giocatore di Canberra, sicuramente contento per il traguardo centrato ma inevitabilmente spompato (anche a livello psicologico) da queste settimane. Nel complesso, però, la sua non è affatto una bocciatura. Resta da vedere se riuscirà a confermarsi in futuro e se ha voglia di fare sul serio o meno.

Volge dunque al termine quest’edizione speciale di Wimbledon, in cui è successo di tutto (sia prima che durante). Tra i tanti dubbi e le incertezze, alla fine a trionfare è stato ancora Novak Djokovic, per il quarto anno di fila. Il vero protagonista è stato però il tennis, che anche in questo 2022 ha illuminato gli occhi di numerosi spettatori, intenti a seguire con lo sguardo la pallina che viaggiava sui campi in erba. Uno spettacolo unico al mondo, che racchiude la vera essenza di questo sport, più forte di tutto e tutti.

Bye Wimbledon, see you next year!

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