Amarcord

L’angolo del ricordo: se Marchisio non avesse sbagliato

Claudio Marchisio - Foto Facebook
Claudio Marchisio - Foto Facebook

Poco più di una settimana fa la Lazio ha festeggiato il settimo anniversario della storica finale di Coppa Italia vinta dai biancocelesti contro la Roma. Il 26 maggio 2013, come tutti gli appassionati di calcio italiani sanno, uno dei derby della capitale più sentiti di sempre fu deciso dal destro di Senad Lulic, a segno al minuto numero 71.

Un trionfo indimenticabile, la festa più bella perché figlia del successo contro i rivali della vita, messi al tappeto da quello che oggi è il capitano della squadra di Inzaghi nonché marcatore, stavolta al 73’, del gol che ha determinato la conquista della Supercoppa Italiana contro la Juventus di Sarri a dicembre.

Ma riavvolgendo il nastro, c’è stato un momento in cui la Lazio ha seriamente rischiato di viverlo lontano dallo Stadio Olimpico quel leggendario 26 maggio? Eccome se c’è stato.

Dopo l’1-1 dello Stadium, fissato dalle reti di Peluso e Mauri, i ragazzi di Petkovic ospitano la Juve di Contenella semifinale di ritorno di Coppa Italia. È il 29 gennaio 2013, a Roma fa freddo ma il clima è bollente, anche grazie alla presenza fisica e sonora di un settore ospiti che non ha nessuna intenzione di tornare a casa senza il pass per l’ultimo atto della manifestazione.

Non a caso il primo tempo è quasi tutto di stampo bianconero. A destra Isla martella facendo impazzire un Radu nell’inedita posizione di “quinto” largo, Vidal passa più tempo nella trequarti avversaria che a centrocampo (dove in teoria dovrebbe galleggiare), Giaccherini sguscia qua e là e le due punte Vucinic e Giovinco svariano per tutto il fronte offensivo senza dare neanche una parvenza di punto di riferimento a una difesa lenta per caratteristiche. Tuttavia il gol non arriva.

Il calcio è strano, quindi al 53’ la Lazio si affaccia in avanti con Hernanes, che prova ad inventarsi la giocata della svolta. Niente da fare, non c’è spazio, allora il Profeta appoggia comodo per Ledesma. Compasso. Compasso è il soprannome di Cristian Daniel Ledesma, regista probabilmente sottovalutato per quello che ha dato come qualità e saggezza in oltre 250 gare disputate con la casacca biancoceleste. Quindi Ledesma controlla, guarda in area e crossa da dove in teoria non si fa. Un cross dalla trequarti, apparentemente “piatto”, di solito facilmente preda del portiere. Non in questo caso. La sfera si impenna, supera Peluso e coglie il perfetto inserimento del Tata Gonzalez, che di testa batte Storari portando avanti i suoi.

Si mette male per la Juve, che a questo punto ha bisogno di un gol per non essere eliminata e di due per evitare le fatiche dei supplementari. Senza più subire nulla, chiaramente. Conte inserisce prima Pirlo, poi Marchisio, poi Quagliarella, sbilanciando la squadra come si fa in questi casi. Dal canto suo Petkovic fa il contrario, gettando nella mischia i “difensivi” Cana e Lulic e facendo rifiatare il generoso quanto “maturo” Klose in favore di Floccari.

La Vecchia Signora spinge senza trovare varchi, i padroni di casa sono maledettamente ordinati, corti e concentrati. Fino al 91’. Nel primo minuto di recupero, quando la Lazio cominciava ad assaporare l’accesso alla finale, un innocuo cross dalla sinistra di Peluso (ancora lui, che tifa Lazio sin da bambino e che la Lazio sta condannando nella doppia sfida) viene prolungato pericolosamente da Biava: si addormenta Radu, che non si accorge dell’arrivo di Vidal, e il danno è fatto. Il cileno firma il pareggio, supplementari all’orizzonte.

Tra mani nei capelli, silenzi assordanti e sguardi afflitti, sugli spalti il popolo biancoceleste è distrutto. Quasi nessuno ci crede, convinti di aver buttato al vento per pochissimi minuti una ghiotta chance di mettere il segno + sulla stagione. Fortunatamente, però, in campo non ci sono i tifosi.

I capitolini battono il calcio d’inizio e si lanciano in avanti: Cana serve Mauri e va dentro a testa bassa, il mancino prova dalla distanza e trova la deviazione di Bonucci, angolo. Lo stesso capitano va dalla bandierina, il cronometro dice 92 minuti e 45 secondi. Il traversone non fa in tempo a partire che coglie la deviazione di Giovinco, appostato in barriera solitaria nei pressi dello spicchio del corner. La traiettoria è strana, non può essere intercettata dagli uomini sul primo palo. Può essere ed è colpita da Floccari, che sale al terzo piano e tira la capocciata dell’apoteosi. Si gonfia la rete, la Lazio è di nuovo clamorosamente in vantaggio. Il Boia di Vibo Valentia si leva la maglietta e prende una delle ammonizioni più dolci della sua esistenza, in tribuna d’onore il presidente Lotito si lascia andare ad un’esultanza liberatoria condita da uno scandito “vaffan****” ripreso dalle telecamere, et voila.

Sarebbe tutto finito, in una gara normale, eppure i minuti di recupero sono 6 e di gente che può tirare fuori il coniglio dal cilindro è pieno il terreno di gioco. Al 95’ Barzagli pesca sulla trequarti Vucinic, che si traveste da trequartista e con l’esterno manda in porta Giovinco. Manda in porta nel senso che lo manda proprio in porta, dentro l’area a tu per tu con Marchetti. La Formica Atomica ha tutto il tempo di guardare l’estremo difensore avversario e prendere la mira, ma il portiere più simile a Tarzan del calcio italiano si posiziona in squat e si tuffa alla propria destra, respingendo lateralmente una conclusione violenta, per quanto non definitiva. Finita? No.

Il pallone, che ha evidentemente voglia di finire nel sacco, capitombola sul destro di Marchisio, leggerissimamente disturbato da un Konko disperato che si lancia in estirada. Ma lo spazio e il tempo premierebbero il Principino, che per caso si trova a dover spingere poco innanzi a lui lo strumento del mestiere. Niente più che un tap-in, che se nel basket consiste nel “prendere la palla da un rimbalzo di un tiro sbagliato e appoggiarla al volo nel canestro”, nel calcio è ancora più facile, soprattutto se il portiere, come in questo caso, non c’è. Ma siamo nel 2013 e se Marchisio facesse gol il 26 maggio non esisterebbe. O meglio, il 26 maggio anziché La Partita di Roma, a Roma andrebbe in scena un Roma-Juve sì prestigioso perché con un trofeo in palio, ma privo del pathos di ciò che poi è stato. Allora Marchisio sbaglia, tira fuori. Non si sa come, ma Marchisio con il destro manca il bersaglio.

C’è tempo ancora per l’ultimo assalto bianconero, che si spegne sul colpo di testa largo di Vidal. Al 97.19 l’arbitro Banti fischia tre volte. Il resto è storia.

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