Le regole son le regole, talvolta discutibili e/o interpretabili. Ma una cosa è certa: in qualunque gara automobilistica non può vincere il secondo. Ne va dell’immagine del motorsport, fatto di velocità, azione, intensità e strategia. Eppure il Gran Premio del Canada ha messo nero su bianco la vittoria della seconda macchina più veloce in pista, quella di Lewis Hamilton. Fischi di disappunto dal pubblico e rabbia esternata con un fondo di ironia dal vincitore-sconfitto, Sebastian Vettel. Broncio dei tifosi cancellato per una manciata di secondi dallo scambio dei cartelli d’arrivo con il tedesco che leva il numero 1 di fronte alla macchina di Hamilton per piazzare il numero 2, fortificando così il concetto di un risultato falsificato.
Un’uscita di pista con uno slittamento naturale delle gomme che forza Vettel a rientrare sul tracciato ostacolando, volontariamente o involontariamente (chi lo sa?), il suo rivale trovatosi a pochi centimetri dal muretto. L’esito della manovra sono i cinque secondi di penalità comminati al tedesco che, dopo aver ricevuto la notizia, va su tutte le furie consapevole di aver ridotto a zero le sue chance di vittoria, pur essendo il miglior pilota del weekend. Ma ancora una volta ci troviamo a discutere sulla necessità di penalizzare pesantemente un pilota, reduce da un errore di guida, con conseguenze probabilmente più gravi dell’eventuale pericolo creato nel suo rientro in pista. Ad esempio: perché non iniziare a valutare senza due pesi e due misure episodi simili? Quante diversità spuntano tra la manovra di Seb, rientrato dopo un’uscita sull’erba, e l’errore con conseguente blocco dello stesso Hamilton su Ricciardo a Monaco 2016? Ma parlando di sicurezza: perché una monoposto uscita di pista al nono giro per la rottura di una sospensione (McLaren di Norris) è rimasta a bordo pit-lane per tutti i 70 giri? In Canada si chiude una brutta giornata per la F1. Un secondo non può festeggiare una vittoria e nemmeno Lewis lo accetta.