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Usain Bolt si racconta senza freni. A Montecarlo, il velocista giamaicano analizza l’annata a pochi giorni di distanza dall’uscita del suo docufilm. Una stagione fenomenale, impreziosita da tre medaglie d’oro ai Giochi di Rio e dal sempre più vicino riconoscimento di “Atleta dell’anno” 2016. “Potevo essere più serio, avrei potuto raccogliere molto di più se mi fossi impegnato d più quando ero più giovane. Avrei potuto vincere un oro olimpico per quattro Olimpiadi invece di tre – dichiara l’atleta -. Essere qui, per l’elezione di Atleta dell’Anno ancora una volta, premia l’incredibile mole di lavoro. Sudare, impegnarsi, paga sempre. Quando guardo indietro a quello che ho fatto, mi rendo conto che mi sono fatto serio negli allenamenti solo quando ho iniziato a capire che avevo un talento importante. E lì, solo allora, ci ho lavorato su per migliorarmi. Lo so, è scioccante ma è la verità”.
Infine, a sorpresa, il ricordo che conserva con maggior piacere e la svolta della carriera. “Facile, nessuna medaglia olimpica o mondiale. Ma la mia prima vittoria da junior. Avevo 15 anni, sui 200 metri. Fu speciale. Unica. Fu l’inizio di tutto, in Giamaica nel 2002. Quattordici anni fa. L’argento ai Mondiali di Osaka nel 2007 sui 200, dietro Tyson Gay. Dissi al mio allenatore ‘Io ho dato tutto, ho fatto il massimo. Non è bastato. Cosa posso fare per vincere l’oro? Ho bisogno di vincere l’oro’. Lui mi disse che semplicemente dovevo lavorare di più in palestra. E allora ho iniziato a lavorare, a programmare e a lavorare. E poi ancora a lavorare e ho iniziato a vincere. Sempre. Sono arrivati i record mondiali, i tre ori a Pechino 2008, e poi a Londra. E poi a Rio”.