Tennis

Riccardo Marcon: “Non ho ancora perso il piacere di giocare”

Riccardo Marcon

“Quello che ho imparato ad apprezzare ancora di più col tempo è il rispetto verso tutti e paura di nessuno”. Così Riccardo Marcon parla oggi della sua esperienza come tennista, maestro e sparring partner. Il tennista veneto classe ‘84, tra aneddoti e bei ricordi, si è raccontato ai microfoni di Sportface, ripercorrendo alcune tappe importanti della sua vita tennistica. Un primo chiarimento ha riguardato le ragioni della breve carriera da professionista: “Io ho smesso sostanzialmente nel 2009; nel 2010 ho fatto qualche piccola apparizione, però in realtà, da circa un anno e mezzo in quel periodo, avevo tutta una serie di infortuni muscolari di cui all’inizio non conoscevo la causa. Quindi ho deciso di appendere la racchetta al chiodo perché ero stufo di dovermi fermare e ripartire. Ho scoperto, un anno dopo circa, di essere malato di diabete”.

Marcon negli anni successivi ha continuato comunque a giocare a tennis, intraprendendo percorsi diversi e non smettendo mai di coltivare la propria passione: “Mi ci è voluto un po’ di tempo per riassestarmi e poi ho ripreso a gareggiare a livello nazionale; non ho ancora perso il piacere di giocare”.

Oggi il trentacinquenne nativo di Leibniz si occupa del settore femminile al Tennis Club Padova e ripensa, con più maturità, al passato da professionista: “Aver giocato ti permette di cogliere delle sfumature che altrimenti ti sarebbe difficile cogliere. Essere stato giocatore non ti rende maestro ma sicuramente ti aiuta ad esserlo, soprattutto se poi hai a che fare con atleti di discreto livello; capire certi aspetti psicologici diventa molto importante per la crescita del tuo allievo”.

Importante sotto questo aspetto è stata anche l’attività di sparring partner durante le passate edizioni degli Internazionali BNL d’Italia che, oltre ad avergli regalato emozioni indelebili, gli ha permesso di stare a contatto con alcuni dei più grandi giocatori e coach del mondo: “Mi ha colpito ad esempio un particolare dell’allenatore (Darren Cahill, ndr) della Halep, nel 2018. Simona doveva continuare a fare delle smorzate: io correvo, correvo, correvo, gliele andavo a prendere e gliele prendevo tutte. Ad un certo punto lui mi ha fermato e mi fa: ‘Guarda, benissimo, perfetto, però io ho bisogno che lei creda che la sua smorzata sia stata ottima, quindi cerca di mascherare un po’ la tua velocità e fai in modo di non arrivarci per un pelo’. Mi ha fatto capire che era per infondere fiducia a Simona; quello che ho percepito un po’ in tutto l’ambito femminile era proprio la ricerca di fiducia”. Ovviamente Marcon ha saputo trarre da queste sessioni d’allenamento anche qualche spunto sull’aspetto tecnico del gioco e al riguardo si è soffermato soprattutto sui giocatori ATP: “La più grande differenza, rispetto al tennis di seconda categoria, ho visto essere servizio e risposta; c’è un mondo di differenza, mentre nei fondamentali già un po’ meno. Ho notato anche grande forza e sicurezza sulle diagonali, da cui non escono se non hanno una palla con cui poter cambiare senza perdere vantaggio nel campo”.

Impossibile inoltre per lui non ricordare, sempre riguardo all’esperienza da sparring partner vissuta, l’ora e mezzo di allenamento con Nadal agli IBI 2014: “È stato un concentrato di emozione, di intensità, qualcosa di indescrivibile; io quel giorno ho capito che cosa volesse dire avere veramente attenzione in un campo da tennis”. E conclude dicendo: “Mi ha fatto vivere una quantità di emozioni che non ho vissuto con nessun altro”.

Infine uno sguardo al futuro: “Il mio sogno da coach sinceramente è cambiato un po’ negli ultimi anni. Ho sperimentato varie facce del lavoro del maestro di tennis e quello che posso dire adesso è che nulla mi riempie di più di gioia che riuscire a trasmettere la mia passione alle ragazze; l’obiettivo è quello di appassionare più ragazze possibili a questo sport, di farle crescere e di trasmettergli quella che è stata la mia esperienza, perché è quello che mi fa sentire vivo a fine giornata anche se ho fatto dieci ore di lavoro in campo”.

SportFace