Amarcord

L’angolo del ricordo: Sampras-Becker, la finale romana più erbivora di sempre

Pete Sampras - Wimbledon 1999 - Foto Ray Giubilo

Mancavano probabilmente solamente le fragole con panna sugli spalti per confondere del tutto le idee nella finale di Roma di 26 anni fa. Nell’atto conclusivo del Foro Italico della stagione 1994 non c’era traccia di colpi che si impennano a due metri dal net, banditi gli scambi interminabili e di resistenza, vietato allontanarsi troppo con i piedi dalla riga di fondo campo. Una finale atipica quella tra Pete Sampras e Boris Becker, dieci trofei di Wimbledon in due ma un solo torneo su terra battuta sino a quel momento, vinto dall’americano a Kitzbuhel due anni prima.

L’occasione di fregiarsi del titolo di re di Roma, dunque, era di quelle da leccarsi i baffi per entrambi. I terraioli più puri e maggiormente accreditati per la vittoria del titolo erano già scomparsi dopo i quarti di finale. Il bi-campione in carica Courier si lasciò sorprendere dal boemo Dosedel, poi asfaltato da Pistol Pete. Nell’altro lato del tabellone, Boris non ebbe neppure bisogno di scendere in campo nei quarti grazie al walkover del connazionale Stich, successivamente superò la testa di serie numero 4 Ivanisevic.

Sole alto nel cielo di Roma, Sampras che mette subito le cose in chiaro spolverando le righe con ace e dritti e canovaccio dell’incontro che si incanala velocemente sui binari delle caratteristiche più congeniali ai due: rovescio in back seguito a rete, serve and volley, pittino nei pressi del net. In barba a tatticismi dettati dalla superficie, Pete e Boris decidono di giocarsela alla loro maniera ma di fatto non c’è partita. Al numero 1 al mondo riesce tutto, il povero “Bum Bum” al contrario viene trafitto da ogni parte del campo dai passanti dell’avversario: di dritto, di rovescio, in slice ma il copione non cambia, la palla atterra telecomandata sempre a due dita dalle righe. Ogni gancio incassato dal tedesco è sempre più pesante del precedente, i game si susseguono uguali senza il benché minimo spiraglio di mettere pressione a Sampras: 6-1 il primo, 6-2 il secondo. Lo statunitense danza, a ogni buon angolo trovato da Becker risponde con un altro ancor migliore e vincente. “Ora è imbattibile – confessò Boris dopo aver definitivamente gettato la spugna con un altro 6-2 – Sembra volare sul campo, può vincere il Roland Garros se gioca così”.

Una profezia, tuttavia, non verificatasi: il re del Foro non riuscì a ripetersi qualche settimana dopo all’ombra della Torre Eiffel fermandosi ai quarti. Il Roland Garros resterà un tabù nell’arco della sua leggendaria carriera. Un amore con la terra mai sbocciato (dopo gli Internazionali d’Italia vinse solamente un altro torneo, ad Atlanta nel 1998) ma Roma custodirà per sempre la sua miglior immagine sul rosso in una di quelle giornate in cui, da avversario o da spettatore, si poteva solamente guardare e applaudire.

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