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Finali Davis Cup 2019, diario da Madrid: day 4

Janko Tipsarevic: finali Coppa Davis - Foto Ray Giubilo
Janko Tipsarevic: finali Coppa Davis - Foto Ray Giubilo

A grande richiesta, oggi parleremo – anche – del luogo che ci ospita, ovvero la Caja Magica. Collocata nel barrio di San Fermin, zona sud della capitale spagnola, e adagiata sulle rive del Manzanares, la “scatola magica” è nata per il tennis, pur essendo stata utilizzata in passato anche per altri sport e manifestazioni varie. L’intera struttura è un enorme parallelepipedo che contiene al suo interno tre campi; il principale, intitolato a Manolo Santana, tiene 12.500 spettatori mentre sia il n°2 (o Arantxa Sanchez-Vicario) che il n°3 sono decisamente più intimi e raccolti, rispettivamente con una capienza di 3.500 e 2.500 persone.

Pur tra mille polemiche – legate principalmente ai costi sostenuti dalla municipalità, quasi 300 milioni di euro, per una struttura elefantiaca e sottoutilizzata – la Caja si è resa indispensabile per mantenere il grande tennis a Madrid (e quindi in Spagna) nell’epoca aurea di Nadal. Il 2009, quando venne inaugurata, si è rivelato centrale per la geografia mondiale del tennis: da quell’anno infatti gli attuali Masters 1000 sono divenuti tali e l’ingresso di Shanghai (che nel quadriennio precedente aveva ospitato le Atp Finals) ha provocato un piccolo effetto domino con lo spostamento temporale del Mutua Madrid Open da ottobre a maggio, il tutto a spese di Amburgo, che si è visto declassato di una categoria. Oltre alla data in calendario, Madrid ha cambiato pure la superficie di gioco adottando quella più congeniale al suo campione anche se l’altura e le particolari condizioni di gioco hanno fatto sì che – dei tre 1000 sulla terra – sia quello in cui Nadal, pur giocando in casa, ha il bilancio peggiore: “appena” 4 titoli, contro gli 11 di Monte Carlo e i 9 di Roma.

Tornando all’impianto, le cui strutture per gli addetti ai lavori – pur ampie e funzionali – sono dislocate su più livelli e non è così inusuale vedere giornalisti e fotografi che cercano di orientarsi tra corridoi e ascensori, per questa occasione il Manolo Santana ha cambiato look e colori: il verde e grigio del campo in duro ha sostituito il rosso (e il celebre blu del 2012) della terra mentre i tre ordini di palchetti più vicini al rettangolo di gioco ospitano l’elegante logo della Davis su sfondo antracite laddove in occasione del Masters 1000 abbondano il rosso e il giallo delle variopinte fioriere. Infine, il tetto; non essendone prevista l’apertura, all’interno è stato appeso l’enorme monitor a quattro schermi oltre a una miriade di fari e faretti, uno dei quali tiene costantemente illuminata l’ambita insalatiera d’argento, posta in un angolo del perimetro e guardata a vista dagli addetti alla sicurezza. Il centrale è enorme e quando, come ieri in occasione del primo quarto di finale tra Australia e Canada, lo popolano non più di tremila persone sembra vuoto, nonostante i duecento tifosi nordamericani facciano baccano per ventimila. Con Kyrgios misteriosamente in panchina (ufficialmente dolorante alla spalla ma dubitare è comprensibile) e il sostituto Millman incapace di sfruttare due set-point per dare un senso diverso al primo singolare, l’Australia di Hewitt è rimasta a galla grazie alla sagacia tattica di de Minaur – che ha battuto alla distanza uno Shapovalov disordinato in versione pre-Youzhny – ma nel doppio gli specialisti Peers/Thompson poco hanno potuto contro il redivivo Vasek Pospisil, la cui aura di (quasi) invincibilità è già una delle storie da raccontare di questa inedita Davis.

Ma ce ne sono altre, di storie, tra le pieghe di queste finali che sembrano interessare più per le proposte di formule alternative (nei vari commenti sui social ne ho contate non meno di cinquanta diverse, tutte ovviamente migliori di questa) che per le vicende agonistiche. Eppure, tanto per tornare sullo spirito diverso con cui viene affrontata la manifestazione, mentre hanno fatto – giustamente – notizia i censurabili comportamenti di Canada e Australia riguardo ai doppi non giocati nei giorni scorsi (e che avrebbero potuto favorire Stati Uniti e Belgio nella corsa ai due posti da migliore seconda), è passata del tutto sotto traccia la generosa prestazione di Jan-Lennard Struff che – pur con la Germania già sicura del primo posto nel gruppo e con la prospettiva di tornare in campo oggi – è rimasto in campo 2 ore e 41 minuti contro il cileno Garin in una sfida terminata con il punteggio di 6-7/7-6/7-6 per il suo avversario con i due tie-break finali persi 9-7 e 10-8. E per completare l’opera, sulla situazione di 1-1 il doppio tedesco Krawietz/Mies è “addirittura” sceso regolarmente in campo e ha battuto come da pronostico quello cileno; eppure oggi, contro la Gran Bretagna che ieri ha fatto a meno di un Murray stremato, il doppio potrebbe essere determinante per accedere alla semifinale. Insomma, se si vuole essere sportivi (come del resto ha fatto in pieno pure l’Italia) non c’è regolamento zoppicante che tenga.

Ieri è finita la fase a gruppi e con lei anche i calcoli per la qualificazione, che hanno tenuto desta l’attenzione in sala stampa contribuendo a creare anche qualche situazione curiosa come il reporter di una radio argentina che alternava il tifo tra Gran Bretagna (e già questa è una notizia, considerati i rapporti tra le due nazioni) e Kazakistan, a seconda dell’evoluzione dello score tra Evans e Bublik che qualificava o escludeva l’Argentina come miglior seconda. C’è stato anche chi ha infilato in un foglio di excel tutte le possibili combinazioni che prevedevano l’ipotesi del ricorso al quoziente punti in caso di parità tra la stessa Argentina e il Kazakistan. Fortunatamente per tutti, la vittoria di Bublik in tre set ha mandato nei quarti la squadra di Gaston Gaudio e i kazaki, dei quali coloriti tifosi sentiremo la mancanza, sono tornati a casa dopo la lezione di doppio rifilata loro dagli specialisti britannici Skupski e Jamie Murray.

Oggi verranno designate le altre tre semifinaliste e il doppio potrebbe essere determinante nelle due sfide tutte europee (Serbia-Russia e Germania-Gran Bretagna) mentre la Spagna – che ha dovuto forzatamente rinunciare a Bautista Agut, il cui padre è venuto a mancare nei giorni scorsi – potrebbe chiuderla prima se Carreno Busta avrà la meglio con Pella. A domani.

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