Editoriali

Chiamatela come vi pare, ma lasciate in pace la Coppa Davis

Matteo Berrettini e Corrado Barazzutti, Finali Coppa Davis 2019 - Foto Ray Giubilo
Matteo Berrettini e Corrado Barazzutti - Foto Ray Giubilo

Chiamatela come vi pare, ma per piacere, togliete il nome Coppa Davis. A Madrid sta andando in scena il tanto atteso format sulla competizione a squadre più famosa del mondo, che da quest’anno si è rifatta il look: niente più match tre set su cinque, niente più trasferte, niente più clima da Davis, niente più doppio in mezzo ai quattro singolari, niente di niente. Solo tanta confusione, poco spettacolo e un regolamento che può andare bene per i Giochi senza frontiere, con grande rispetto di questi ultimi, ma non per una delle competizioni più importanti non solo del mondo del tennis, ma dell’intero pianeta sportivo.

Uno dei punti di forza dei fautori di questa cervellotica competizione è che fosse un prodotto adatto al pubblico, partite più rapide, la tv che piace agli spettatori. Peccato che le partite finiscono a notte inoltrata, orari improponibili in mezzo alla settimana: sarebbe questo il prodotto adatto al pubblico? Per non parlare del regolamento che è una delle cose più antisportive in assoluto: il Canada, qualificato perché ha vinto le due partite con Italia e Usa, decide di non giocare il doppio dando così automaticamente il 6-0 6-0 agli Usa? Questa è la Coppa Davis? Questo è tennis? Questo è sport? E sia chiaro che essere italiani oggi non c’entra nulla: poteva capitare in un altro girone con altri protagonisti, il giudizio sarebbe stato il medesimo.

Ci sarebbe da parlare anche della decisione di grandi campioni di disertare l’appuntamento di Madrid. Nadal, per motivi patriottici visto che si gioca in Spagna, è presente, ma poi la lista degli assenti, giustificati e non, è lunga. Se alla platea va bene tutto ciò, che se la tenga stretta questa competizione: ma per piacere chiamatela in un altro modo. Per amore dello sport. 

 

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