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Atp Finals Londra 2017, i protagonisti: Rafael Nadal

Rafael Nadal, foto Ray Giubilo

“Ma Nadal, Connors e giocatori di questo tipo ci mostrano di cosa realmente si tratti la vita: la vita è un combattimento. La vita è cruda e aspra. La vita è un gioco a somma zero, ed uno qualunque che cerca di tira fuori il cibo dalla tua bocca.”  Recita così, un’emozionante passo dal libro di Joel Drucker, “Jimmy Connors mi ha salvato la vita”. Si riferisce a giocatori come l’americano e Rafael Nadal, l’autore, quando parla di giocatori che nel corso della loro carriera, mostrano nel competere un’attitudine che è propria dei gladiatori. La definizione di Drucker aderisce, quasi perfettamente, a ciò che negli anni Rafael Nadal ha mostrato di essere. Perché oramai, dopo un decennio di dominio insieme al suo storico rivale, parlare del campione maiorchino, così come di Roger Federer, solamente attraverso i numeri o le questioni tecnico-tattiche, è un qualcosa che tutti quanti abbiamo già sentito e che rischierebbe di annoiarci.

Così torniamo alle parole di Drucker, che riassumono in poche righe la carriera, ma anche il 2017, di Rafael Nadal. Perché dopo due anni infernali, “Rafa” sembrava “non aver più nulla in bocca”, quasi svuotato di energie fisiche e, per la prima volta in carriera, forse veramente in difficoltà dal punto di vista mentale, precipitato quasi fuori dalla Top-10.

I gladiatori però, ad un passo dalle sconfitte, spesso provano una mossa audace che possa quanto meno provare a ribaltare le sorti del duello. Assumeva questi contorni la scelta a sorpresa dello spagnolo, alla fine del 2016, di introdurre nel suo team il grande amico Carlos Moya, come co-coach di suo zio Toni Nadal. Cercava una ventata di aria fresca, Nadal. Non tanto dal punto di vista tecnico, ma più per ritrovare la serenità mentale, per ritrovare se stesso, per non abituarsi a sconfitte al quinto set dopo una rimonta subita, a perdere tie-break decisivi, a perdere prima contro le proprie insicurezze e poi contro avversari anche più deboli di lui.

Eppure, il 2017 dell’allora numero 9 del mondo era iniziato, ufficialmente a Brisbane, proprio con una rimonta subita per mano di Milos Raonic. Ma era stato lo stesso spagnolo a dirsi non preoccupato, pronto a scommettere su se stesso per una buona stagione, preparata al meglio in allenamento e in una forma fisica molto convincente.

I primi frutti della buona preparazione si cominciavano così ad intravedere agli Australian Open, con la bella vittoria al quinto set contro Alexander Zverev, o il dominio nei quarti contro Raonic. Qualcosa è cambiato però, dal giorno della semifinale contro Grigor Dimitrov. La sfida contro il bulgaro, tutt’ora una delle più belle partite della stagione, ha mostrato per la prima volta dopo tanto un Nadal ad altissimo livello e che, con la vittoria in cinque set, andava pian piano riappropriandosi della sua essenza, intesa come tennis concepito alla sua maniera, e poi giocato con la forza mentale propria di uno che è riuscito a vincere almeno un titolo Slam in dieci stagioni consecutive, dal 2005 al 2014.

Curiosa è stata tuttavia la prima parte di stagione di Nadal, che nonostante quanto detto sopra ha fallito non solo a Melbourne in finale, ma anche ad Acapulco per mano di Sam Querrey, e a Miami, poco dopo una brutta caduta in ottavi ad Indian Wells. Tre mesi in cui, il mancino di Manacor, per un’intera carriera quasi immune alla pressione delle finali, ha dovuto fare i conti con un qualcosa di veramente nuovo, un Roger Federer quasi immune agli attacchi di Nadal, che tanto avevano funzionato in passato.

Ma dopo le sconfitte, come già altre volte è accaduto nella carriera del 16 volte campione Slam, arrivata la stagione su terra, sono arrivate anche le gioie più grandi. Monte-Carlo, Barcellona e Madrid in fila fila. Poi “La Decima” al Roland Garros, per una primavera in cui Rafael Nadal ha riscritto ancora i record sulla terra battuta: per la prima volta nella storia un giocatore vince dieci titoli in un torneo, con il maiorchino in grado di completare l’impresa per ben due volte, a Parigi e prima ancora nel Principato di Monaco

Il 2017 di Rafael Nadal, per di più. non è stato solo terra rossa. Mentre alcuni si aspettavano infatti un calo da parte sua in estate, il 31enne di Manacor si è mantenuto su livelli alti, tornando a vincere anche sul cemento, allo Us Open e poi anche a Pechino, per la prima volta dopo i Giochi Olimpici del 2008.

Non sappiamo se Nadal abbia stretto, all’inizio della stagione, una sorta di patto con il destino, chidendogli una tregua dopo i diversi problemi fisici e di fiducia delle stagioni passate. Per Nadal non si tratta della stagione più vincente in carriera, ma il 2017 rappresenta comunque un qualcosa di nuovo per Nadal, che ha mostrato una strepitosa condizione fisica, almeno fino a Shanghai, mentre negli scorsi anni aveva comunque sempre faticato dopo il solito ed enorme dispendio di energie, nella stagione su terra.

Tutti i patti però, hanno un prezzo, e Nadal, il suo, l’ha pagato almeno per quattro volte quest’anno. Sotto tutti i punti di vista, l’iberico è riuscito a ritrovare i suoi punti di forza, perdendo tuttavia la sua supremazia nei confronti diretti contro il rivale di sempre, Roger Federer. Lo svizzero lo ha sconfitto in tutti e quattro i confronti diretti del 2017, soffrendo solamente nella finale degli Australian Open, vinta al quinto set, prima di dominare il numero uno del mondo ad Indian Wells, Miami e Shanghai, le ultime due anch’esse finali.

Nonostante i nei delle sconfitte con Federer, o della sconfitta agli ottavi di Wimbledon contro un fantastico Gilles Muller, l’annata di Nadal rimane comunque da incorniciare. Oltre al decimo successo a Monte-Carlo e al Roland Garros, “Rafa” in estate è tornato sulla vetta della classifica mondiale per la quarta volta in carriera, sfruttando senz’altro anche le pesanti assenze di Novak Djokovic ed Andy Murray. Seppur fossero assenti i dominatori delle due stagioni passate, comunque, il merito di Nadal, e allo stesso modo di Federer, è stato quello di riuscire a migliorarsi anche durante questa stagione, anche dopo i 31 anni compiuti. Anni fa, neanche lo stesso maiorchino si sarebbe immaginato a questi livelli dopo i 30 anni e invece l’intervento di Carlos Moya ha funzionato anche dal punto di vista tecnico, con Nadal che ha mostrato ulteriori progressi soprattutto per quanto riguarda il servizio e il rovescio, per un atteggiamento visibilmente più offensivo sul campo. Il dritto, forse, non ha più la costanza degli anni migliori, ma Nadal è riuscito a tornare padrone della sua amata terra rossa e allo stesso tempo solidissimo sul veloce, ritrovando anche il suo grande vantaggio psicologico su tutti gli avversari, ad eccezione di Federer.

Venendo al capitolo Finals, l’unica incognita è il ginocchio del mancino di Manacor, che proprio da Shanghai in poi sta mostrando i primi segni di affaticamento dovuti all’enorme mole di partite della stagione. Ma in fin dei conti, Nadal ha raggiunto il suo obiettivo: come dichiarato in una recente intervista, lo scopo principale del 2017 era poter tornare a competere ad alti livelli, indipendentemente dai risultati. Competere è sempre stata la vera essenza di Nadal, e alle Finals, la sua grande voglia di competere sarà una garanzia. Perché comunque lo spagnolo ha superato le due stagioni più difficili della sua carriera e ora si ritrova ad affrontare situazioni difficili, ma che ben conosce, come il ginocchio dolorante ed un avversario, Federer, che trova il modo di rendere innocuo il suo dritto mancino, similmente a come Novak Djokovic aveva fatto dal 2011 in poi. Proprio per tutte queste problematiche superate, Patrick Mouratoglu ha definito recentemente Nadal “The Ultimate Fighter”, come quello da cui, ormai, ci si può aspettare di tutto. Nadal ha approcciato a Londra dicendo di puntare alla vittoria, per un torneo, le Atp Finals, che ancora manca nel suo incredibile palmarés. Così, forte dei successi del 2017 e consapevole di una concorrenza agguerrita, “Rafa” proverà a regalarsi un altro successo, magari trovandosi di fronte ancora una volta quel Federer insieme al quale ha scritto la storia del tennis, incarnando, alla perfezione, con l’elvetico, il motto dannunziano “O rinnovarsi o morire”.

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