Editoriali

La Streif tra leggenda e sventure

Streif Kitzbuehel - Foto Gio Auletta-Pentaphoto

In una stagione invernale vengono disputate numerose discese libere, ma quella di Kitzbuehel è “la” discesa libera. Ci sono molte piste sull’arco alpino ma la Streif è “la” pista. Sono diversi i velocisti che si alternano sui gradini del podio nelle gare di Coppa del Mondo, ma solo chi vince a Kitz è l’eroe. La Streif è il mito, la storia, la sfida e la paura. Ogni anno regala a 30.000 spettatori un tale spettacolo, che è riuscita a meritarsi un film dedicato a “lei”, uscito nelle sale austriache nel dicembre 2014. Attraverso immagini mozzafiato ed interviste da brivido, i registi Gerald Salmina e Tom Dauer sono riusciti a descrivere le vittorie storiche, le emozioni degli atleti, i tragici incidenti e le fatiche organizzative che si nascondono dietro al sipario di questo incredibile spettacolo.

Essere il numero uno a Kitzbuehel per molti atleti vale più di una medaglia d’oro all’Olimpiade. I premi gara sono i più alti di tutto il circuito, ma più dei soldi vale la soddisfazione di essere nell’albo d’oro della Streif, di avere il proprio nome su una cabina dell’impianto di risalita tra tutte quelle dedicate ai vincitori e di sentire l’esultanza di migliaia di spettatori. Ma la vera vittoria, quella che trapela dalle dichiarazioni più profonde dei grandi campioni, è quella di aver superato ogni pericolo, azzardando la linea più veloce senza incorrere in quei minimi errori che in tutte le edizioni hanno sempre fatto vittime su questa pista. Alcuni talenti hanno scritto la storia non solo con le vittorie, ma con degli incredibili numeri da circo: Kristian Ghedina è stato l’unico ed il solo a sfidare i 140 km/h con una sicura spaccata sul salto finale, Bode Miller è riuscito a condurre una curva sulle reti “A”. Ma la Streif è tutt’altro che un gioco: anche il grande Didier Cuche ammette di essere stato fortunato a vincere 5 volte su questa pista senza dover pagare quel prezzo a cui altri suoi compagni non sono riusciti a sottrarsi.

Proprio sul salto finale Daniel Albrecht ha messo fine alla carriera; sono agghiaccianti le sue parole quando racconta che al risveglio in ospedale non riusciva a riconoscere nemmeno sua madre e che quando gli dicevano che era uno sciatore di Coppa del Mondo, lui non sapeva proprio cosa significasse. Nonostante i dottori sapessero che non fosse possibile, tutta la sua riabilitazione è stata guidata da un unico obiettivo: ritornare a correre nel grande circuito mondiale. Solo dopo tanti sforzi e sacrifici, lo stesso Daniel ha realizzato che i dottori avevano ragione ed ha capito il vero motivo: i suoi riflessi non sarebbero mai più stati quelli che aveva prima dell’incidente e a causa di questo non sarebbe mai tornato ai massimi livelli. Non meno incredibile è la storia raccontata da Hans Grugger, l’austriaco che sul salto della Mausefalle ha messo a rischio la sua vita, prima ancora della sua carriera. Nei primi 7 giorni in ospedale l’unico scopo era quello di rimanere in vita, poi Grugger ha vinto la sua gara più importante: si è risvegliato tra i suoi cari, pur senza una parte di cranio e di cervello. Eppure nelle sue parole non c’è rabbia nei confronti della crudele Streif: lui la ringrazia per averlo lasciato in vita ed è comunque fiero di poterla ripercorrere dopo qualche anno con gli sci, seppure da spettatore, insieme alla sua fidanzata Ingrid Rumpfhuber, anche lei ex discesista di Coppa del Mondo, che lo ha assistito amorevolmente in ogni istante della sua riabilitazione, lasciando che quel terribile incidente cambiasse completamente anche la propria vita.

Sicuramente la discesa del 2016 ed il suo numero uno resteranno nella storia dello sci italiano, ma quest’edizione verrà ricordata per tutti gli atleti che hanno messo un punto alla loro stagione, non certo alla loro carriera, si spera. La Streif ha colpito ancora, ha messo a terra anche i più forti, coloro che per bravura ed esperienza potevano coglierne al meglio le insidie e i pericoli; ma loro sono proprio quelli che non si accontentano di arrivare al traguardo, vogliono a tutti i costi la vittoria e per questo sono pronti a prendersi ogni rischio. Le polemiche sulla sicurezza e sulle decisioni dell’organizzazione sono sempre tante, ma anche questa volta, da parte dei discesisti coinvolti non c’è rabbia e non ci sono accuse. Ai più questo può sembrare folle, molti la definiscono incoscienza, tanti lo ritengono insensato. Salmina e Dauer, attraverso un film, sono riusciti a dare un senso a questa follia e lo hanno fatto raccontandola come si raccontano le imprese dei soldati che partono per la guerra con un loro ideale. Non tutti gli spettatori avranno colto o condiviso lo “spirito” della Streif, rimanendo perplessi come alla fine di un film non capito; ma molti, dopo questo film, guarderanno le discese di Kitzbuehel con occhi diversi, sentendosi non solo tifosi, ma partecipi di quel coraggio che gli atleti decidono di mettere in pista per loro stessi, per il successo della loro carriera e per la propria affermazione.

SportFace