[the_ad id=”10725″]
Il mattino del 20 febbraio 2017 ha visto un’alba soleggiata illuminare la cittadina di St Moritz, mentre la macchina organizzativa lavorava incessantemente per smantellare quello che è stato il teatro dello sci alpino mondiale per due settimane. Come ogni “giorno dopo” una grande manifestazione è tempo di bilanci, ma purtroppo pare che molti abbiano solo guardato al medagliere per tirare le somme puntando al catastrofismo per incolpare la federazione e gli atleti per un fallimento assoluto ed invocando una caduta di teste e rivoluzioni importanti. Ma siamo tutti d’accordo? Davvero serve un reset totale, cancellando quanto fatto in questi ultimi due anni dopo lo 0 nel tabellino di Vail 2015?
Partiamo dalla dura realtà: una medaglia sola e del metallo meno pregiato non può essere sufficiente per promuovere la nazionale azzurra dopo l’appuntamento mondiale, ma se si guarda oltre a quel medagliere che ci trova in ultima posizione si capisce che non è neppure pensabile una bocciatura diretta. In molti paiono aver dimenticato (o forse non ne sono proprio al corrente) che a livello di Coppa del Mondo questa è una delle stagioni più positive per i colori azzurri dai tempi d’oro di Deborah Compagnoni ed Alberto Tomba e per misurare il livello di salute della squadra è senza dubbio più importante la costanza durante l’anno che l’evento secco.
“Ma se guardiamo all’Austria”: in molti articoli si è scritto come l’Austria e la Svizzera, contrariamente all’Italia, abbiano trovato il picco proprio durante l’appuntamento iridato. I primi, a quanto si dice, puntando sui giovani, i secondi sfruttando l’euforia dell’evento in casa. Per i due paesi a nord delle nostre Alpi il mondiale è andato oltre ogni più florida aspettativa grazie soprattutto ad un clima di leggerezza dopo un inizio subito in discesa. Per entrambe i Paesi il ghiaccio si è rotto subito, deresponsabilizzando il resto della squadra: l’oro a sorpresa di Nicole Schmiedhofer nel superG ha senza dubbio aiutato anche Stefanie Venier a trovare in discesa il primo podio in carriera e Michaela Kirchgasser a sciare più serena in combinata. Poi c’è stato Marcel Hirscher, ma qui parliamo di fuoriclasse, e dietro di lui una squadra di giovani che ha detto chiaramente in zona mista di essersi sentita tranquilla proprio perché a loro non si chiedeva nulla. Per gli svizzeri e le svizzere il doppio podio nella combinata femminile ha sciolto ogni tensione, aiutando anche Beat Feuz a sciare con meno pressione addosso nella perfetta prova della discesa maschile.
Proprio guardando all’andamento delle gare in quest’ottica, il bronzo di Sofia Goggia diventa ancora più prezioso e importante in prospettiva futura (soprattutto olimpica): l’azzurra ha sciato imbrigliata dalla tensione in superG, in combinata ha sbagliato e in discesa libera ha buttato via un metallo prezioso con un errore che avrebbe potuto anche portare a serie conseguenze a livello fisico. La risposta di carattere in gigante non solo ha salvato almeno la faccia alla spedizione azzurra, evitando lo 0 nel medagliere, ma ha un grande peso per la crescita del talento bergamasco.
Italia paese dei legni: tre quarti posti, un quinto ed un sesto non sono certo poco. Certamente non sono un successo ma testimoniano la continuità ad alti livelli degli atleti della nazionale e in gare secche dove tutto può succedere (ed è successo), dimostrano che i nostri erano comunque lì e qualcosa non è girato a loro favore. Non parliamo di sfortuna, ma di condizioni più o meno particolari che fanno parte di uno sport di situazione come lo sci alpino: capire quando e quanto l’errore personale ha influito deve essere spunto di crescita, ma non deve diventare una croce.
La già citata Goggia ha mancato il podio in discesa di nulla nonostante il grave errore e, non ce ne voglia la talentuosa ma finora inespressa Venier, il jolly pescato dall’austriaca. La Brignone è stata quarta in gigante (ammettendo di aver mancato la prima manche a causa della pressione), settima in combinata e ottava in superG; Elena Curtoni vicina alla medaglia in superG e una Manuela Moelgg acciaccata è stata comunque sesta in gigante. Dominik Paris ha sicuramente avuto poca fortuna in combinata, dove ha chiuso quarto e primo dei non aiutati dallo slalom.
Lo slalom ha assegnato 5 medaglie: e ad oggi è la disciplina dove facciamo più fatica. Al maschile i “soliti noti” hanno salvato la faccia nella specialità, ma non si sono espressi ad un livello da medaglia a St Moritz ed il problema è che oggi agli specialisti dei pali stretti si presentano ben 3 occasioni di andare a medaglia: c’è lo slalom, c’è la combinata alpina ed il team event. Sul tema della combinata si è parlato spesso e contro i molti che la vorrebbero morta e sepolta, io mi auguro sempre una sua rivalutazione, ma perché questo sia possibile la manche di slalom deve essere effettuata prima di quella di discesa. Al maschile gli ultimi due campioni del mondo della disciplina erano trentesimi dopo la prova di velocità… al femminile poi una discesa accorciata e con pochi passaggi tecnici ha aiutato le slalomiste a rimanere vicine e poi chiudere il gap; per come erano partite, né Stuhec né Goggia avrebbero probabilmente trovato il podio anche fossero arrivate al traguardo subendo troppo i solchi e le lastre di ghiaccio uscite nelle prime porte.
“Siamo una squadra di vecchi, bisognava portare più giovani”: vero, l’Italia era la delegazione più vecchia al mondiale, ma questo di per sé non è un problema. La maggior parte degli azzurri sui 30 anni ha dichiarato che questo è stato l’ultimo mondiale e difatti è quello che anticipa l’evento olimpico. Siccome al momento non abbiamo giovani da cui aspettarci una medaglia in Corea, la loro presenza in Engadina non era così fondamentale, tra due anni però sì, la nostra dovrà essere una compagine molto giovane.
“Non ci sono ricambi”: e qui capisci che in molti hanno poco chiaro di cosa stanno parlando. Al femminile la squadra italiana ha un bel vivaio di ragazze promettenti come Laura Pirovano, Lara Della Mea, Carlotta Saracco, Nicole Delago e molte altre, senza dimenticare la già realtà Marta Bassino. Al maschile la situazione non è altrettanto florida, ma non è neppure tragica: Tommaso Sala e Simon Maurberger si stanno ritagliando il loro posto in squadra, mentre vanno certamente ritrovati Emanuele Buzzi e Henri Battilani per le discipline veloci, agli EYOF abbiamo trovato diverse medaglie con Alex Vinatzer e Giovanni Zazzaro, mentre l’anno scorso aveva ben figurato a Lillehammer Pietro Canzio. Il tutto senza dimenticare che alcuni dei nostri atleti di punta stanno entrando ora nel momento clou delle loro carriere: Mattia Casse, la Brignone, la Goggia, Elena Curtoni, Paris…
Parliamo di delusione, ma non di fallimento: delusione perché tre medaglie dovevano essere l’obiettivo per la squadra azzurra, ma ne è arrivata una sola. Non parliamo di fallimento, perché lo sarebbe stato se non fossimo mai stati competitivi e se è parzialmente vero al maschile (il solo quarto posto con giustifica di Paris è troppo poco), sicuramente non lo è al femminile. Chiediamoci cosa si può fare perché anche i nostri possano gareggiare con meno pressione addosso (e noi giornalisti forse dovremmo chiedercelo in primis), perché possano esprimersi al meglio e uscire soddisfatti delle proprie prestazioni. In questo riprendo proprio le parole dell’unica medagliata azzurra: “l’unica gara di cui sono delusa è il superG, perché lì non ho dato il 100%”. Il mondiale, come l’Olimpiade, è un evento secco e se si arriva quarti perché la pista cambia condizioni, perché quel giorno Mr X trova la giornata perfetta, perché il bastoncino si incastra alla partenza o per mille altri motivi, non è necessario dover trovare un colpevole da giustiziare a tutti i costi.