In Evidenza

Chiara Mormile: “Il mio sogno olimpico nel nome di Aldo Montano”

Chiara Mormile - Esercito - Foto Nizegorodcew/Sportface

La mia storia d’amore con la scherma è nata nell’estate del 2004. Avevo 9 anni ed ero in vacanza con i miei genitori in Spagna. Mi trovavo a giocare in giardino quando mio padre mi urlò ‘sali in camera, un italiano ha appena vinto l’Olimpiade’. Era Aldo Montano. Ho guardato mio papà e gli ho detto: lo voglio fare anche anche io”. Determinazione, voglia di emergere e sicurezza nei propri mezzi. Chiara Mormile, classe 1995 e neo campionessa italiana di sciabola, si è raccontata in esclusiva a Sportface.it nella splendida cornice del Circolo Magistrati della Corte dei Conti, tra la passione per la scherma, l’obiettivo olimpico e una vita frenetica tra pedana, musica e la sua Roma, tra gioie e dolori, stupende vittorie e sconfitte cocenti.

Torniamo indietro nel tempo. Dall’oro di Montano ad Atene 2004 alla prima lezione. Come è andata?
“I miei genitori non sapevano dove iscrivermi, ma io ho insistito e, grazie a mia madre, ho iniziato nel settembre 2004 al Club Scherma Roma e nel 2006 ero già impegnata nelle prime gare nazionali. Avevo praticato anche ginnastica artistica, nuoto, atletica e tennis, ma al momento di prendere una decisione definitiva non ho avuto dubbi. La scherma faceva ormai parte di me, grazie a Montano…”.

Aldo Montano conosce questa storia?
“Custodisco una foto che mi ritrae insieme a Montano, scattata quando venne a una festa del Club Scherma Roma. Credo che Aldo sappia che ho iniziato grazie a lui, una volta gliel’ho accennato”.

Com’è stato il primo impatto?
“Il primo impatto è stato molto positivo, anche se nella scherma vi è da subito tanta disciplina e poco gioco. È uno sport serio, pieno di regole. Non posso dire che fosse noioso, ma sicuramente non si rideva e scherzava come sui campi da tennis. Mi piaceva talmente tanto che ho superato qualsiasi tipo di difficoltà”.

Giocavi a tennis proprio alla Corte dei Conti?
“Ho giocato a tennis dal 2001 al 2006 e, per un periodo, ho praticato settimanalmente nuoto, tennis e scherma. Nel 2006 ho dovuto prendere una decisione e ho optato per la mia sciabola. Ho giocato a tennis alla Corte dei Conti, dove ho incontrato anche Matteo Berrettini, più giovane di me di un anno”.

Ci sono tanti punti di incontro tra Chiara Mormile e Matteo Berrettini…
“Si, è vero, abbiamo molte cose in comune. Siamo praticamente coetanei, nonché cresciuti nello stesso quartiere (Nuovo Salario; ndr) e stesso circolo sportivo. Abbiamo entrambi problemi con le caviglie e, l’ho appena scoperto, anche il medesimo fisioterapista!”.

C’è qualche similitudine tra due sport individuali, seppur diversi, come tennis e scherma?
“Tennis e scherma hanno delle similitudini, ma in pedana non hai tempo per gestire un assalto o per recuperare. Nella scherma tutto viene deciso in frazioni di secondo e, se si entra nel pallone per cinque minuti, non si riesce più a recuperare. La gestione dell’avversario e la concentrazione sono invece importanti e decisivi come nel tennis”.

Quando hai capito che la scherma poteva diventare un lavoro?
“Quando sono arrivata seconda ai Mondiali Cadetti 2011 è scattato qualcosa dentro di me. Ho capito che la scherma era la mia strada e che mi sarei potuto togliere importanti soddisfazioni. Il momento decisivo è stato però la vittoria al concorso per entrare nel gruppo sportivo dell’Esercito, che oggi è per me fondamentale”.

“È quasi un istinto animale, di sopravvivenza. E dentro di te trovi ciò che nemmeno sapevi di avere, scoprendo con la scherma la tua vera natura”

I primi risultati sono stati positivi. Hai mai avuto dubbi sul tuo percorso?
“Ho iniziato a vincere sin da subito e la passione è cresciuta sempre di più. Ho però passato anche momenti in cui ho pensato di smettere. Avevo sedici anni, in piena fase adolescenziale e non ero così propensa al sacrificio. Mi allenavo poco e vincevo tanto. Non ho lasciato la scherma soprattutto grazie ai miei genitori. Mio padre, in particolare, ha rappresentato la molla che mi ha permesso di capire che la strada era ancora in pedana. Non mi ha mai detto ‘devi continuare’ portandomi all’esasperazione, anzi. ‘Secondo noi hai talento e potresti vincere tanto. Puoi fare una bellissima carriera’. Queste parole mi hanno convinto e mi sono data un ulteriore anno per analizzare la mia scelta. Le tante vittorie hanno sicuramente aiutato…”.

Cosa ami maggiormente della scherma?
“Ciò che più mi piace della scherma è l’istinto. In pedana si scopre la personalità di un atleta, esce fuori quello che sei veramente. È quasi un istinto animale, di sopravvivenza. E dentro di te trovi ciò che nemmeno sapevi di avere, scoprendo la tua vera natura”.

Cosa non ti piace?
“Non mi piace il fatto che non si possa controllare tutto. I fattori esterni, come l’avversaria, l’arbitro, il pubblico, possono influire molto e a volte è difficile isolarsi per trovare la giusta concentrazione”.

La nazionale femminile di sciabola ha appena conquistato uno splendido oro mondiale. Com’è il rapporto con le altre ragazze della squadra e delle altre discipline?
“La scherma è uno sport individuale e non è semplice trovare persone che ti sostengano in maniera sincera. È altresì impossibile non stringere legami con le ragazze della squadra, poiché siamo sempre in contatto. Si è creata una sana competizione: ci stimoliamo a vicenda a suon di risultati e questo non può che essere un elemento positivo”.

Tutti iniziano con il fioretto, quando sei passata alla sciabola e perché?
“La scelta della sciabola è stata pressoché immediata. Tutti i bambini iniziano con il fioretto di plastica, ma per me è durato solamente un mese. Quando mia madre si andò a informare al Club Scherma Roma parlò con un maestro di cui, dopo pochi istanti, riconobbe un accento familiare. Erano entrambi foggiani e, parlando del più e del meno, si venne scoprire che il cugino di mia mamma conosceva questo maestro. La sua specialità era proprio quella, dopo un mese avevo già in mano la sciabola di ferro…”.

Quanto è importante la parte psicologia prima, durante e dopo una gara?
“Direi fondamentale. Lavoro con il mental coach Betulla Detassis da circa due anni e mezzo. Mi fa parlare, identifichiamo insieme un problema per poi capirne le cause. Non è lei a darmi la soluzione, ma sono io che devo arrivarci. Betulla vive a Trento, ma quando può scende a Roma e lavoriamo qualche giornata insieme. Ai campionati italiani è stata con me dal primo all’ultimo giorno e la sua presenza, così come quella di mio padre, è stata davvero importante”.

Ecco, parliamo un po’ della vittoria agli assoluti di Gorizia…
“La stagione 2017 non è stata particolarmente positiva, anche a causa di qualche problema alla caviglia. Dopo una gara di coppa del mondo a Mosca, durante la quale avevo subito una pesante sconfitta da 14-8 in mio favore, sono tornata a casa molto arrabbiata e delusa. I campionati italiani, che sarebbero iniziati dopo pochi giorni, potevano rappresentare la mia rivalsa. Appena salita in pedana a Gorizia ho capito che ero pronta e che potevo arrivare fino in fondo, anche se ho dovuto rimontare una sfida da 9-14 contro Sofia Ciaraglia. Il mio maestro, Tommaso Dentico, aveva lo sguardo di chi non ci credeva più. E invece, all’improvviso, ho rimontato e vinto. Ho provato più volte ad analizzare quell’assalto, ma non so dire realmente cosa sia accaduto. Stoccata dopo stoccata ho trovato fiducia, la mia avversaria si è impaurita e ho portato a casa l’assalto 15-14. In semifinale ho vinto nuovamente sul filo di lana contro Martina Criscio, mentre l’ultimo atto, contro un’avversaria molto forte come Caterina Navarria, me lo sono aggiudicato nettamente 15-7”.

Non hai ancora parlato del tuo maestro.
“Il mio maestro è, sin dal lontano 2004, Tommaso Dentico (foto in basso). Il rapporto non è semplice, poiché abbiamo entrambi un carattere forte e dominante, ma è molto bravo e mi considera ormai una figlia. Tatticamente è uno dei migliori e legge benissimo gli assalti. Abbiamo avuto in passato alcuni momenti in cui ci siamo chiesti se fosse giusto continuare insieme, ma alla fine rimaniamo sempre uniti”.

Chiara Mormile fuori dalla pedana. C’è qualcosa che ti ha cambiato la vita?
“Il cammino di Santiago. Un viaggio fatto nel 2013, a 18 anni appena compiuti. Ho scelto di farlo perché mi sentivo pronta e mi sembrava il momento più adatto. Volevo mettermi in discussione, volevo capire a che punto fossi della mia vita. Credo sia il viaggio che più mi ha forgiata a livello emotivo. Ero partita con alcuni dubbi sulla scherma e durante il cammino ho capito che era la mia vocazione. È cambiato anche il mio atteggiamento nei confronti della vita stessa, rafforzando la mia solarità e l’allegria, ma sopra ogni cosa ho imparato cosa significhi la parola pazienza: avere pazienza e portare pazienza, nelle relazioni umani, è importantissimo”.

Passioni?
“Suono la chitarra e canto, ma a casa, da sola. Amo Tracy Chapman, Ed Sheeran, ma il mio proferito è Vasco. Ascolto e suono tanta musica italiana un po’ datata: da Lucio Battisti a Claudio Baglioni passando per Lucio Dalla. La musica viaggia sempre insieme a me e, in riscaldamento e subito prima di una gara, ascolto canzoni che mi possano caricare”.

Studi?
“Mi sono laureata in Politics, Philosopohy and Economics alla Luiss e ora mi appresterò, ma con più calma, ai due anni di magistrale. Suono la chitarra, amo cantare e stare con i miei amici. Quando sono a Roma cerco di uscire il più possibile. Sono una sportiva vera, professionale, ma so anche come divertirmi”.

Ultimo libro letto?
“Tre volte all’alba’ di Alessandro Baricco. Me lo ha prestato un’amica al mare e l’ho divorato in trenta minuti”.

Chiudiamo tornando alla scherma. A chi ti ispiri?
“Mi sono sempre ispirata ad Aldo Montano. Quando è in pedana è assolutamente perfetto e, nella vita, non si è mai negato nulla. È incredibile come sappia alzare il proprio livello nel momento opportuno e del bisogno. Tra le ragazze attualmente in attività credo che la più estrosa sia Yana Egorian, ma per atteggiamento in pedana scelgo Sofia Velikaja”.

Non abbiamo parlato dell’aspetto fisico.
“A livello atletico sono seguita, da giugno 2016, da Stefano Vannini. Precedentemente mi allenavo tre volte a settimane dal punto di vista fisica, ma Stefano ha cambiato il mio lavoro portandolo a 5/6 sedute. Mi ha fatto allenare sotto il sole, con 40°, per farmi abituare a competere in situazioni di forte stress. Il lavoro atletico è cambiato radicalmente e in meglio. In pedana mi sono accorta subito del salto di qualità fisico”.

Stefano Vannini, presente alla Corte dei Conti durante l’intervista, si intromette per un’ultima domanda. ‘Cosa pensi di dover migliorare? E cosa invece rafforzare?
“Mi dicono che in pedana io riesca a trasmettere molta energia, ma durante un assalto essere troppo trasparenti, nei momenti positivi come in quelli negativi, può diventare un’arma a doppio taglio. Dovrei cercare di costruire una barriera per usarla a mio favore, senza far trasparire ogni emozione. Cosa rafforzare? Essendo un po’… matta, devo riuscire a incanalare meglio la rabbia”.

Chiara Mormile è rilassata, sorride, si racconta ma, quando si parla di Olimpiade, gli occhi diventano quelli della tigre. Lo sguardo si fa serio, si respira grinta in ogni sua sillaba. “Ogni giorno penso all’Olimpiade. Ho parlato tante volte con le mie compagne che hanno partecipato a Rio 2016 e mi hanno raccontato le emozioni, la cerimonia, il villaggio olimpico, la gara, le notti. Ma non riesco a mettermi totalmente nei loro panni. Spero di capire presto di persona ciò che hanno provato. Avevo pensato di potermi qualificare anche per Rio, ma non ero pronta e sufficientemente matura. L’obiettivo è la qualificazione a Tokyo 2020, il sogno è ovviamente l’oro olimpico”.

SportFace