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Enrico Garozzo: “Olimpiade nel momento giusto, a Rio sarò uno dei favoriti”

Enrico Garozzo - Foto Bizzi-Federscherma

A Vancouver, due giorni, ha ottenuto il primo successo individuale in carriera. E tra sei mesi, a Rio de Janeiro, vuole stupire il mondo. Enrico Garozzo, 26 anni carabiniere di Acireale con un fratello minore, Daniele, protagonista nel fioretto, è oggi il maggior rappresentante della spada maschile azzurra. Numero 2 dell’ultimo ranking mondiale, due anni fa a Kazan ha conquistato la sua prima, e finora unica, medaglia iridata, un bronzo individuale. Con la squadra ha già strappato la qualificazione alla prossima Olimpiade di Rio de Janeiro vincendo la prova di Coppa del mondo ad Heidenheim, in Germania. E ora, dopo il trionfo di Vancouver, guarda avanti con grande fiducia: “Aspetto questa Olimpiade da almeno dieci anni – confessa Enrico nell’intervista esclusiva concessa a Sportface.itNon mi voglio nascondere, so di essere tra i più forti al mondo”.

Per te sarà la prima Olimpiade. Come te la immagini e come la stai preparando?
“Ho già due esperienze olimpiche come sparring partner a Pechino 2008, quand’ero un ragazzino e fu un’esperienza unica, e poi a Londra 2012 quando andai per stare vicino a Paolo Pizzo, un grande amico, in un momento per lui molto delicato. Certo, esserci come atleta sarà tutta un’altra storia: me la immagino come qualcosa di totalmente differente rispetto a tutto quello che ho provato finora, anche al Mondiale, che già porta una tensione difficilmente descrivibile a parole. Sarà bellissimo ma credo mi porterà via molte energie mentali: per questo ci stiamo già preparando. Il fatto poi di arrivare con molto anticipo a Rio per abituarci al clima e al fuso orario sarà un’arma a doppio taglio: spesso vivere troppo l’atmosfera della gara rischia di farti arrivare svuotato al momento più importante. Dovremo fare attenzione a tutto”.

Rio arriva al momento giusto?
“Sì. Non mi voglio nascondere, so di essere oggi tra i più forti al mondo. In questi anni mi è mancata solo una grande vittoria individuale dopo tanti podi e una medaglia al Mondiale: ora l’ho ottenuta. Per me questo è il momento della maturità tecnica, fisica e mentale, perciò un’Olimpiade non poteva arrivare in un momento migliore. Tocca a me prepararla al meglio e raccogliere il più possibile: aspetto i Giochi non da quattro anni, ma almeno da dieci”.

Tornando al rapporto con Paolo Pizzo: quanto è importante creare rapporti solidi nella scherma, sport individuale e allo stesso tempo di squadra?
“Molto, con Paolo c’è un’amicizia vera e forte, sono stato suo testimone di nozze pochi mesi fa. Nella squadra poi siamo tre siciliani, oltre a me e Paolo c’è anche Marco Fichera, con cui sono cresciuto assieme ad Acireale: proveniamo dalla stessa palestra e per due anni abbiamo anche condiviso casa a Milano, e lo stesso dottore. Questo può aiutare molto ed essere importante per tutti quanti”.

Facciamo un passo indietro: quanto è stata importante per te la vittoria a squadre ottenuta a Heidenheim venti giorni fa, decisiva per la qualificazione a Rio?
“Abbiamo chiuso un cerchio aperto proprio in Germania un anno fa, quando chiudemmo con un dodicesimo posto. Non ero rimasto soddisfatto del risultato ottenuto nell’individuale (eliminato nel turno dei 64, ndr): non mi piace mai cercare giustificazioni, ma di sicuro la testa mia e dei miei compagni era concentrata sulla gara a squadre, che ci dava la possibilità di qualificarci per Rio. E ora, a Vancouver, è arrivata anche questo successo nell’individuale”.

In effetti la qualificazione olimpica a squadre è stata un vero percorso a ostacoli.
“Dodici mesi fa in Germania abbiamo avviato la nostra collaborazione con un mental coach, Luigi Mazzone, che lungo tutto quest’anno è stato fondamentale per noi. La prova a squadre nella scherma è sempre particolare, perché al di là di tutto il nostro sport rimane sempre un uno-contro-uno in pedana: tutti e quattro avevamo lo stesso obiettivo, volevamo spenderci al massimo per raggiungere il sogno dell’Olimpiade, tuttavia non riuscivamo a canalizzare le energie nella stessa direzione. E non per mancanza di volontà, ma perché in un certo senso è difficile fare squadra senza avere ostacoli precisi da superare. Siamo poi stati bravi a mettere tutto quanto da parte e spenderci al cento per cento per fare quadrato e arrivare al punto in cui siamo adesso”.

C’è stato un momento di svolta?
“Al Mondiale di Mosca, lo scorso luglio. Dal punto di vista mentale nel match vinto con la Repubblica Ceca, un incontro iniziato male contro la nostra “bestia nera” che ci aveva appena sconfitto all’Europeo; dal punto di vista tecnico nel match dei quarti con la Francia, dove abbiamo capito che possiamo tirare alla pari con tutti. Prima di Mosca, dopo il buon quinto posto ottenuto a Parigi dove avevamo perso solo con la super Francia, c’era stato un grosso passo falso a Montreux, all’Europeo, l’unica gara in cui non eravamo seguiti a bordo pedana dal dottor Mazzone. E forse non è stato un caso. Ma anche quello è stato un momento di crescita, perché siamo riusciti a confrontarci su aspetti che non funzionavano”.

La Sicilia in questo momento storico è una delle regioni cardine per la scherma italiana, nella spada e non solo. Si può parlare di una “scuola” siciliana?
“Di sicuro la Sicilia ha una grandissima tradizione che parte da lontano, con Mino Ferro e Angelo Arcidiacono, entrambi olimpionici, e poi a me piace pensare che noi siciliani abbiamo la ‘testa dura’, perciò quando ci mettiamo in mente qualcosa ce la mettiamo tutta per arrivare in alto”.

La tua è una famiglia a trazione schermistica, tuo fratello Daniele è fiorettista. Come cambia l’approccio alla scherma fra te e lui? E cosa gli vorresti “rubare” per la tua arma?
“Premetto che sono felicissimo che mio fratello tiri in un’arma diversa dalla mia, in questo modo siamo liberi di fare completamente il tifo l’uno per l’altro! Aver potuto fare una parte di allenamento con lui quando vivevamo entrambi ad Acireale e fare lo stesso oggi quando ci capita di fare preparazione insieme, nelle vacanze di Natale o d’estate, mi permette di condividere qualcosa di veramente forte con una persona a me carissima. Riuscire a darci l’un l’altro un sostegno nei momenti di difficoltà, che spesso ci sono, è davvero bello: una parola di tuo fratello vale più di quella di chiunque altro. Dal punto di vista fisico gli ruberei volentieri un po’ di velocità, lui è molto più rapido e scattante di me, mentre io sono forse più potente a livello fisico. Nella testardaggine e in una certa ‘arroganza’ siamo invece simili, nello sport e nella vita sono due caratteristiche che talvolta possono aiutare”.

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