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Tiro a volo, Chiara Cainero: “Sogno un altro oro olimpico, questa volta da mamma”

Chiara Cainero - Foto Fitav

Tre Olimpiadi, oro a Pechino 2008 nello skeet, tre titoli europei e un palmares ricco di successi. Chiara Cainero, una delle punte di diamante della nazionale italiana di tiro a volo a Rio 2016, si è raccontata in esclusiva a Sportface.it

Non è molto comune per una ragazza iniziare a fare tiro, raccontaci come ti sei avvicinata a questo sport
“La passione per il tiro me l’ha trasmessa mio padre, che è sempre stato un tiratore. Io lo seguivo spesso quando andava a fare le gare nel weekend e piano piano mi sono appassionata. In tutti i casi io, fin da piccola, sono sempre stata una bambina attratta dallo sport in generale. Ne ho provati tanti. Ho fatto per diversi anni pattinaggio e pallavolo, sono sempre andata a nuotare tutte le settimane. Poi, a 14 anni, la prima età utile per poter tirare, ho provato, mi è piaciuto e quindi a poco a poco ho aumentato gli allenamenti e abbandonato, per ragioni di tempo, gli altri sport”.

Ci sono molti campi di tiro in Italia, alla portata di tutti quelli che volessero provare, oppure è uno sport riservato solo agli abitanti di alcune regioni che hanno più strutture rispetto ad altre?
“Campi ce ne sono tanti e mi pare che siano ben distribuiti nel territorio nazionale. Io prima mi allenavo a Udine, a quindici minuti di auto da dove abitavo con i miei genitori, ora faccio una quarantina di chilometri per arrivare al campo, ma comunque le strutture ci sono”.

Consiglieresti a un ragazzo di provare questo sport?
“Certo. Io consiglierei di provare per un po’ con un istruttore preparato e, per fortuna, ne abbiano tanti in Italia. È chiaro che prima di acquistare un fucile, che costa parecchio e deve essere fatto sostanzialmente su misura, uno deve essere convinto della passione verso questo sport, ma c’è sicuramente la possibilità di allenarsi anche con i mezzi messi a disposizione dalle varie organizzazioni che curano gli allenamenti”.

Hai iniziato a 14 anni a tirare e sono subito arrivati dei successi nelle gare.
“Ho iniziato a fare le gare con miei coetanei nei “Centri di Avviamento allo Sport”. All’inizio facevo gare circa una volta al mese, perché la mia priorità allora era lo studio. Fra l’altro non ero ben vista dalla maggior parte degli insegnanti a cui chiedevo giustificazioni per interrogazioni e verifiche “perché ero andata a sparare”, quindi di quel periodo più che le vittorie ricordo le fatiche per studiare in macchina nei viaggi per andare a fare le gare o nelle notti prima e dopo le gare per recuperare”.

Studiare comunque ti piaceva, tanto che hai fatto, con ottimi risultati, anche l’Università.
“Sì, mi sono diplomata all’Istituto Magistrale e poi mi sono iscritta all’Università a Milano in un corso di laurea in Pubbliche Relazioni. Non ero ancora laureata che mi era stato proposto un contratto a tempo indeterminato in una società di Milano. Ho iniziato a lavorare e intanto continuavo ad allenarmi prendendo i giorni di aspettativa per le gare”.

Quando ti sei resa conto che il lavoro non era più conciliabile con lo sport?
“Io mi sono laureata nel 2002, ho iniziato subito a lavorare e dopo circa un anno, nel 2003, ho fatto una gara fantastica in Australia, che mi ha permesso di ottenere la carta olimpica per i Giochi di Atene 2004 tra la sorpresa generale. A quel punto la priorità assoluta è stata data al tiro e, anche se con molto dispiacere, ho dovuto licenziarmi dal lavoro”.

E quindi sei andata a fare l’Olimpiade del 2004, una emozione immensa immagino.
“È stata davvero un’emozione indescrivibile. Io non avevo nessuna pressione di risultati addosso. Per me la vittoria era esserci. Ero in squadra con campioni assoluti come Andrea Benelli e Ennio Falco. Ero lì veramente per osservare e assimilare ogni momento che vivevo. Il villaggio olimpico, la cerimonia di apertura, momenti straordinari che non dimenticherò mai. Da allora ho vinto tanto e ho avuto soddisfazioni di ogni genere, ma la prima Olimpiade è un qualcosa di magico e sensazionale oltre ogni immaginazione”.

La cerimonia di apertura poi credo che sia qualcosa di magico per gli atleti che vi partecipano.
“Certamente, poi io ho potuto fare la cerimonia di apertura solo ad Atene, perché a Pechino e a Londra avevamo le gare subito nei primi giorni e il campo da tiro era lontano, non era possibile partecipare, ma il ricordo che ho della sfilata di Atene resterà per sempre impresso nella mia memoria. Poi io ero una ragazza giovane, curiosa, volevo guardare, imparare da tutti, cercavo i campioni famosi. Io ho vissuto quei momenti come se fossi dentro ad un sogno, in un paese incantato, dove mi potevo girare e trovavo il mio idolo di sportiva. Fantastico”.

Tante distrazioni che però potevano far diminuire la contrazione in uno sport che ha bisogno di tanta tenuta mentale.
“Non c’è dubbio. Adesso se andassi alla Olimpiade per vincere e potessi scegliere autonomamente, arriverei solo due giorni prima della gara, cercando di evitare il villaggio e cercando di vedere il meno possibile gli altri. Subito dopo la gara, ovviamente, mi godrei tutto lo spirito olimpico e andrei a vedere più gare possibili di tutti gli sport, ma prima si vivono troppe emozioni e la tensione sale inesorabilmente”.

E dopo l’Olimpiade di Atene ti sei messa di impegno per poter essere protagonista nei giochi successivi.
“Dopo aver vissuto Atene 2004, mi sono davvero messa d’impegno per provare ad essere protagonista a Pechino. Ho preso delle decisioni tecniche cambiando qualcosa nel modo di tirare, ho aumentato la frequenza e la qualità degli allenamenti, ho fatto un lavoro molto importante anche dal punto di vista mentale, oltre che fisico, ho deciso di provarci con tutto l’impegno possibile. Non ho mai lavorato tanto come nel quadriennio dal 2004 al 2008”.

Quindi ci credevi nella vittoria di Pechino?
“Più che crederci, ho sognato tante volte quella vittoria. E poi ero davvero molto serena, consapevole di aver fatto tutto il possibile per prepararmi nel migliore dei modi. Sono partita consapevole che se fosse andata male, non dovevo rimproverarmi nulla perché meglio di come mi ero preparata non avrei potuto fare”.

Raccontaci quella fantastica gara di Pechino.
“Ricordo il diluvio universale. Ho fatto l’ultima serie incredibile da 24 su 25, in rimonta, sbagliando solo il penultimo tiro. Poi la finale, era molto tesa, probabilmente lo eravamo tutte, ma in confronto ad adesso ero molto meno controllata. Io pensavo a tirare, non guardavo nemmeno cosa facessero le altre. Alla fine mi sono girata verso il tabellone e ho visto che ero in finale. Poi siamo arrivate allo spareggio e dovevo fare la doppia da quattro. È un colpo che si prova all’infinito in allenamento, stamattina ne avrò fatte 150. Mi sono detta ‘Chiara, quel piattello lo sai colpire, lo prendi sempre, stai tranquilla e cerca di farlo nel miglior modo possibile’. E così è stato. Emozione indescrivibile”.

Nel 2013 sei diventata mamma di Edoardo. Scelta difficile per una sportiva, raccontaci come hai vissuto la gravidanza.
“L’ho vissuta come la vivono tante donne lavoratrici ogni giorno in tutto il mondo. Io ho avuto la fortuna di aver vissuto una gravidanza tranquilla senza particolari problemi, quindi ho continuato ad allenarmi praticamente per tutto il periodo della gravidanza. La mia ginecologa un giorno è voluta venire a vedere un mio allenamento, ha avuto la conferma che non ci fossero controindicazioni e mi ha confermato che potevo tranquillamente continuare ad allenarmi e a fare le gare. Ho solo ridotto drasticamente il carico di lavoro atletico”.

E al quinto mese di gravidanza hai vinto una medaglia d’oro all’Europeo.
“Ho vinto e anche in due prove di Coppa del Mondo e poi all’Europeo in Germania ho tirato veramente bene. Ovviamente non si potrà mai sapere se non fossi stata incinta come sarebbero andate quelle gare, ma certamente aspettare il bambino mi ha dato qualche motivazione in più che mi ha permesso di gareggiare ancora meglio. Nella finale dell’Europeo sentivo il bimbo muoversi nella pancia, una sensazione incredibile che solo le mamme possono capire. Ho vinto quella gara anche per lui”.

E dopo la nascita di tuo figlio avrai dovuto cambiare le tue abitudini.
“Certamente, ma anche in questo caso, ho fatto un po’ come tutte le mamme che tornano a lavorare presto. Io credo che le donne abbiamo nei propri geni la capacità innata di sapersela cavare meglio quando diventano mamme. Prima sembra tutto difficile, ma a poco a poco ci si riesce ad organizzare e si fa tutto. Qualche volte ci aiutano le nonne, mio marito è sempre disponibilissimo a farsi in quattro per dare una mano, mia suocera viene spesso su dalla Sicilia per aiutarci. In qualche modo, certamente a ritmi meno intensi, ma ho ripreso ad allenarmi abbastanza presto. È stata una scelta molto dolorosa la decisione tra il riprendere subito o aspettare ancora qualche mese. Ho deciso di riprendere quando Edoardo aveva quattro mesi e all’inizio è stato drammatico, credo come per tutte le mamme che riprendono a lavorare con il bimbo piccolo. Poi è chiaro che razionalmente sapevo bene che lui era in buone mani, che non avrebbe sofferto la mia lontananza, però, per me, all’inizio, quando dovevo partire e lasciarlo a casa è stata veramente difficile. Del resto, per rincorrere il sogno di andare alla terza Olimpiade, non avevo altra scelta. Piano piano mi sto abituando, ma anche adesso che ha due anni è ancora triste vederlo in lontananza quando parto per qualche gara”.

Non hai mai provato a portalo con te nelle gare?
“Una volta, ma è stato davvero un incubo. Mio marito è sempre disponibilissimo e ha tanta pazienza, ma le gare di tiro non si prestano proprio ad avere con sé bambini piccoli. A noi serve concentrazione e silenzio, non c’è mai attorno tanto posto per il pubblico, ci sono zone delimitate per la sicurezza. Mio figlio, come tutti i bimbi, vorrebbe muoversi, giocare, è impossibile, almeno finché è piccolo, averlo con me alle gare”.

Iniziamo a guardare alla Olimpiade di Rio. Intanto sono cambiare le regole dello skeet, la tua disciplina, rispetto a Londra 2012. Ti trovi meglio o peggio con i nuovi regolamenti?
“Le regole sono cambiate dal 2013. Personalmente non sono molto d’accordo con le nuove regole, perché per noi, di fatto, ogni gara diventa tre gare distinte. Prima abbiamo un turno di qualificazione a 75 piattelli, poi i primi sei accedono alle semifinali, azzerando tutto il risultato precedente, quindi di fatto si ricomincia da capo, sparando 16 piattelli. Poi i primi quattro si scontrano tra loro per le medaglie, sempre azzerando il punteggio precedente, il terzo e il quarto si giocano il bronzo e i primi due l’oro e l’argento, sparando altri 16 piattelli. Poi, noi nello skeet in finale spariamo 4 piattelli che nel resto della gara non spariamo mai, quindi subentra questa ulteriore difficoltà. Se il nuovo regolamento mi porta vantaggio o meno è difficile saperlo. Come detto a me non piace e credo che non sia giusto azzerare il punteggio, però a dire il vero, la maggior parte delle gare fatte con il nuovo regolamento mi sono andate piuttosto bene, quindi è giusto essere ottimisti per il futuro. In linea di massima comunque non dovrebbe cambiare molto, perché i più forti di solito nei primi sei ci arrivano e poi appunto ci si gioca tutto nella semifinale”.

Adesso è ancora più importante il sangue freddo e la tenuta mentale nel momento decisivo, concordi?
“La parte mentale conta sicuramente tanto, noi facciamo una preparazione anche su questo, ma io sono convinta che una solida base tecnica sia sempre più importante. Anche arrivare nei momenti decisivi, se sai di essere capace di tirare, se hai preso quel piattello mille volte, lo potrai prendere ancora. Poi credo anche che sia più facile dominare lo stress e la tensione che non migliorare la tecnica. Un buon tiratore dal punto di vista tecnico prima o poi riuscirà ad acquisire anche la tenuta mentale, invece possiamo prendere la persona più calma e priva di emozioni del mondo, se non sa tirare bene, non vincerà mai nulla di importante. È ovvio che per vincere una medaglia olimpica hai bisogno di entrambe le componenti”.

Infine volevo chiederti se anche tu, come altre donne in procinto di andare a Rio, hai paura del virus Zika.
“Ne stanno dicendo di ogni genere nei vari media, quindi un po’ di paura viene, mi sembra evidente che il CONI e tutte le altre federazioni del mondo chiederanno garanzie precise sulla tutela della salute di tutti i partecipanti. Io ho anche chiesto ad una mia parente che vive in Brasile e lei è molto tranquilla, dice che stiamo facendo più scalpore noi in Europa soprattutto, che non loro in Brasile, che non vedono nessuna emergenza sanitaria. Andiamo serenamente e pensiamo a gareggiare al meglio”.

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