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Paolo Pizzo, dal tumore a Rio 2016: “Non mi accontento di partecipare”

Paolo Pizzo - Foto Bizzi/Federscherma

La vita e la storia personale di Paolo Pizzo, catanese, 33 anni, spadista per l’Aeronautica Militare, hanno già vissuto momenti che lasciano il segno. La malattia a soli 13 anni, il rischio di dover abbandonare la grande passione della scherma già nell’adolescenza, scongiurato grazie a una forza di volontà non comune, le lunghe tappe per la costruzione di una scherma magari poco appariscente ma di grande tenacia e dedizione fino alla vittoria che vale una carriera, l’oro mondiale nella spada individuale nella sua Catania, anno 2011, e la conseguente qualificazione all’Olimpiade di Londra 2012. Alla vigilia dei suoi secondi Giochi il prossimo agosto a Rio, in esclusiva per Sportface.it Paolo Pizzo ci racconta le sue sensazioni e aspettative, ripercorrendo anche le tappe fondamentali della sua carriera.

Paolo, iniziamo da un giudizio sulla tua stagione fino a questo momento.
“Mi sento bene ma certamente non al massimo della forma. In un anno olimpico come questo ho iniziato da mesi un percorso che mi porterà ad essere fisicamente al meglio in coincidenza dell’Olimpiade. In questa stagione con la squadra abbiamo creato un gruppo di rara compattezza e professionalità, e da parte mia ho dimostrato di poter essere un fattore importante: la qualifica olimpica conquistata in anticipo è stata il giusto premio. Individualmente non è stata invece la mia miglior stagione, ma sono certo che prima o poi i risultati ritorneranno, devo solo avere pazienza e applicarmi”.

A Rio 2016 sarai impegnato nella prova a squadre e prevedibilmente anche nell’individuale. Obiettivi?
“Per un’Olimpiade l’obiettivo è uno solo: la medaglia. Non sono un fan di De Coubertin e per indole non sono uno che si accontenta di partecipare e basta. Con la squadra in particolare abbiamo un sogno e spendiamo ogni secondo delle nostre giornate per cercare di realizzarlo”.

A questo proposito, pensi che il podio sia un traguardo possibile?
“Cercando di risponderti con obiettività – e non è facile vista la mia posizione – sono convinto che questa squadra non abbia limiti. Il podio è assolutamente alla nostra portata, il problema è che resta alla portata almeno di 8 formazioni sulle 9 qualificate a Rio, perciò dovremo lottare fin dalle prime stoccate per prenderci ciò che meriteremo quel giorno. Non si torna da un’Olimpiade con una medaglia se non si è disputata una grande gara, starà a noi e basta”.

Per te l’Olimpiade non è una novità assoluta: che ricordi hai di Londra 2012?
“Di Londra ricordo la tanta, forse troppa, pressione visto che ero l’unico qualificato italiano per la spada. Mi sono ritrovato in un evento organizzato alla perfezione, una specie di blockbuster in cui, come ovvio, ero una semplice comparsa, e così è andata: ne sono uscito “frullato” e anche ammaccato, visto che due mesi dopo mi sarei dovuto operare di nuovo alla mano”.

Parliamo di doping. Le tue posizioni sul tema sono sempre state di condanna intransigente: nella scherma la lotta al doping a che livello è? E in generale quali sarebbero gli strumenti migliori?
“Ti ringrazio per questa domanda, con la quale ho modo di aprire gli occhi a coloro che ipotizzano che siano controllati soltanto alcuni sport “di prestazione”, magari a scapito di discipline tecniche come la mia. Vorrei sfatare questo mito, e dire semplicemente che negli ultimi tre mesi ho effettuato tre controlli antidoping, di cui due a sorpresa. Noi della scherma siamo “puliti” per una concomitanza di motivi etici e pratici: la scherma è uno sport unico, miscela di antichi rituali e tecniche innovative, e nel bene o nel male girano pochi soldi e per gli eventuali malintenzionati il gioco non vale la candela. Per il resto, rimango della mia idea: chi fa uso sistematico di doping è un ladro. Punto”.

In carriera hai vinto un oro mondiale e un argento europeo e da anni sei un pilastro del quartetto azzurro, tuttavia la critica non sempre ti è stata favorevole. Come si convive con lo scetticismo?
“La verità è che mi sono abituato! In ogni disciplina esistono atleti ben visti fin da giovani, magari perché stilisticamente perfetti o “politicamente” supportati, altri invece come me sono cagnacci alla Gattuso, sporchi nella guardia ma affamati di vittoria. Forse anch’io da Ct punterei sui primi, ma per fortuna lo sport ti dà sempre una possibilità, e io sono uno che lotta fino in fondo”.

Lo scorso dicembre un lutto ha colpito te insieme a buona parte della spada azzurra. Un tuo aneddoto sul Maestro Oleg Pouzanov?
“Gli aneddoti sul “mio” Maestro sono infiniti, era un enciclopedista di gag sovietiche con cui mi spiegava la scherma e la vita. “La velocità serve solo per prendere pulcini che scappano” mi diceva quando affrettavo troppo un’azione, ma ne avrei altre mille…Voglio solo dire che lo penso ogni giorno, così come faccio con le poche persone a me care”.

Da ragazzo hai sofferto per una forma di tumore e tuttora sei testimonial dell’AIRC. Quanto aiuta aver affrontato un’esperienza di vita simile per una “semplice” carriera agonsitica?
“L’esperienza della malattia mi aiuta ogni giorno. Sono un estremo combattente e lo sarò sempre, dico spesso che l’enorme cicatrice che porto in testa in realtà è la punta dell’iceberg che per sempre è disegnato dentro di me. Anche per questo ho scritto un libro, in uscita il prossimo 3 maggio, perché la mia storia deve servire come messaggio positivo per chi sta navigando in cattive acque. Sui social provo a dare coraggio a chi ha esperienze simili alle mie e ad aiutare con una parola giusta anche chi gli sta vicino”.

Un paio d’anni fa la tua proposta di matrimonio in pedana (alla pentatleta Lavinia Bonessio, che ha poi sposato lo scorso settembre) ha fatto parecchio notizia. Come pensi si possa rimediare al ridotto lato mediatico del tuo sport?
“La proposta la rifarei allo stesso modo oggi ma non per fare notizia, quanto perché non ho vergogna a esprimere le mie passioni e perché so che a Lavinia farebbe piacere esattamente come le era piaciuto allora. Quanto alla poca visibilità della scherma, credo dipenda in gran parte dal fatto che l’Italia sia un Paese limitato dal punto di vista della curiosità già su temi generali, figuriamoci sullo sport. Del calcio ormai passano in Tv anche partite dei Dilettanti, mentre noi al massimo possiamo lavorare dietro le quinte per i nostri sogni cercando di far sentire un po’ più orgogliosi gli italiani quando portiamo medaglie vere e non riconoscimenti personali. Gli ingaggi milionari che portano un atleta a diventare una specie di mercenario noi ce li possiamo sognare, però se c’è qualcuno che davvero ama la maglia azzurra siamo proprio noi delle discipline olimpiche”.

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