Amarcord

Tokyo 1940, Londra 1944 e i Giochi Olimpici non ufficiali

Woldenberg 1944

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Già nei Giochi Olimpici antichi, quelli greci, era stata ideata quella che veniva definita ekecheirìa, cioè la tregua olimpica: durante i giorni dell’evento, in tutta la regione veniva sospesa ogni forma di guerra. Un’abitudine poi ristabilita anche durante le Olimpiadi moderne, con il benestare dell’Onu. Ma cosa è successo invece ai giochi quando avrebbero dovuto essere disputati in periodo di guerra?

Già durante la prima guerra mondiale si sarebbero dovuti disputare i giochi a Berlino, nel 1916: l’annullamento arrivò a pochi mesi dalla manifestazione, e la città tedesca riuscì a ospitare i giochi solo 20 anni più tardi. Proprio appena prima dei giochi del 1936, quelli di Jesse Owens con quattro medaglie d’oro al collo sotto il naso di Adolf Hitler, si decise di organizzare le successive Olimpiadi per la prima volta in Asia, a Tokyo. La decisione fu presa a sorpresa, perché il Giappone era stato sostanzialmente estromesso dalla Società delle Nazioni per l’occupazione della Manciuria, e lo stesso governo nipponico sembrava dare poca importanza a un evento di quel tipo in un periodo di importanti conflitti geopolitici. Lo scoppio della seconda guerra sino-giapponese nel 1937 rese poi evidente l’impossibilità di portare a compimento quei giochi (come di quelli invernali, previsti sempre in Giappone, a Sapporo), anche perché il governo decise di proseguire la costruzione degli impianti sportivi in legno, lasciando tutto il metallo alla realizzazione di armi. L’Olimpiade venne quindi assegnata a Helsinki, seconda candidata per l’organizzazione, ma da lì a poco la guerra esplose in tutta Europa, e nella città finlandese si riuscì solo a portare a termine una serie di sfide tra atleti locali e svedesi, con la partecipazione di qualche tedesco.

Ci fu però un evento a Langwasser, in un campo di prigionia vicino a Norimberga, in cui venne effettivamente issata una bandiera a cinque cerchi. Era un piccolo vessillo, cucito con parti di indumenti dei prigionieri, lungo nemmeno 50 centimetri, e non poteva essere sventolato più di tanto perché tutto era organizzato all’insaputa dei soldati tedeschi che vigilavano lo stalag. Le medaglie erano fatte di cartone, le coppe create dalle gavette utilizzate per il cibo, e i palloni forniti da un parroco norvegese. L’organizzatore era uno scrittore e poeta polacco, Teodor Niewiadomski, che sfruttò la sua fantasia per ideare gli sport: il lancio della pietra, perché ovviamente non erano a disposizione pesi regolari, o la corsa della rana, in cui una punizione subita dalle guardie si trasformava in una vera e propria competizione. Parteciparono prigionieri di sette nazioni (belgi, polacchi, inglesi, francesi, olandesi, norvegesi e jugoslavi), e lo stesso Niewiadomski si occupava di suonare gli inni, con un’armonica a bocca. I tedeschi non si accorsero mai di nulla, Niewiadomski superò la guerra e visse a Varsavia fino agli anni ’90, e molti cimeli di quell’incredibile evento sono ancora in mostra nel museo olimpico della capitale polacca.

Nel frattempo però era stata decisa anche la sede dei Giochi Olimpici del 1944, con Londra che superò di poco Roma. Questa volta però non iniziò alcun tipo di organizzazione, negli anni più terribili della guerra. Nell’estate del 1944 il Comitato Olimpico Internazionale celebrò in Svizzera i suoi primi 50 anni, ma non fu ancora in grado di programmare nuove edizioni dei giochi. Furono invece ancora i prigionieri di un campo a issare la bandiera olimpica. A Woldenberg, in quella che oggi è la parte più occidentale della Polonia, per due mesi sventolò un’insegna fatta di lenzuola bianche e sciarpe colorate, a formare i cinque cerchi. Questa volta i tedeschi non erano all’oscuro, controllarono ma lasciarono fare: ai prigionieri era concesso anche l’uso di un teatro, dove vennero tenute le cerimonie, e di una stamperia, dove si produsse una sorta di volantino con il fittissimo programma. Vennero infatti disputate ben 464 diverse competizioni, tra calcio, pallavolo, basket, pallamano, boxe, scacchi e, ovviamente atletica leggera. Se il pugilato fu abbandonato dopo pochi incontri perché i lottatori, esausti dalla vita nel campo, rischiavano seriamente di uccidersi dopo ogni round, gli altri sport furono un successo. I mesi successivi furono però i peggiori per i prigionieri di quel campo: solo in 300 sopravvissero sei mesi fino al gennaio del 1945, quando vennero liberati dalle forze alleate.

Nel corso degli anni, più volte è stato proposto al CIO di rendere i giochi di Langwasser e di Woldenberg ufficialmente olimpici, ma il comitato ha sempre rigettato l’ipotesi, proprio perché uno degli elementi fondanti dell’olimpiade è il periodo di ekecheirìa in cui si deve svolgere. Però personaggi come Teodor Niewiadomski, o come Arkadiusz Brzezicki, l’ultimo sopravvissuto dei giochi del ’44, pur senza una medaglia d’oro al collo, hanno oggi tutto il diritto di poter essere definiti eroi a cinque cerchi.

Se si vuole approfondire queste incredibili storie, è preferibile, anche se non semplice, recuperare il più realistico film polacco Olimpiada 40, piuttosto che la fiction Rai L’Olimpiade nascosta, andata in onda nel 2012 con Cristiana Capotondi e Alessandro Roja, che aggiunge elementi decisamente romanzati ad alcuni fatti realmente avvenuti nei due giochi olimpici non riconosciuti.

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