“Essere nell’anno olimpico mi fa svegliare al mattino con pensieri diversi da quelli che si hanno in altre circostanze, si fa tutto in funzione di Rio 2016”. Queste le emozioni di una elettrizzata Antonella Palmisano in vista della sua prima volta ai Giochi Olimpici. Classe 1991, la marciatrice di Mottola e atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Gialle si racconta in un’intervista esclusiva a Sportface.it. Balzata agli onori della cronaca dopo lo splendido quinto posto raggiunto al Mondiale di Pechino 2015 nonostante l’infiammazione al tibiale destro con la quale ha lottato per tutto il percorso, l’azzurra è ben decisa a sognare in grande in direzione Rio, perché “l’appetito vien mangiando…”. Dagli inizi alla storia recente, tra infortuni e curiosità passando per il delicato tema del doping.
Hai iniziato a praticare sport con il volley, quando e come è scattato l’amore per la marcia?
“Ho iniziato a giocare a pallavolo all’età di 6 anni circa. Mi ci ha portato per la prima volta mia zia Maurizia, è lei che mi aveva trasmesso questa passione, comune in tutte le donne Palmisano e Milano come, appunto, mia mamma. All’età di 13 anni ho partecipato ad una corsa campestre, il mio primo allenatore, Tommaso Gentile, ha notato in me un talento ed espresso la sua volontà nel volermi allenare in uno sport completamente diverso dalla pallavolo, come l’ atletica leggera, corsa o marcia che sia. Da quel giorno per me è stata una battaglia, persa in partenza, nel cercare di praticare entrambi gli sport: atletica fino alle 19, e dalle 19 alle 21 pallavolo. Non ho però resistito tanto e dì lì a breve ho preso la decisone di correre. L’amore per la marcia è sbocciato al mio primo titolo italiano a Bastia Umbra, quella gara, quella medaglia, quelle emozioni inaspettate hanno fatto sì che scegliessero per me il mio futuro”.
Quali sono le difficoltà per emergere in un settore come l’atletica meno “pubblicizzato” in Italia rispetto ad altri sport?
“Le difficoltà per emergere nell’atletica nel nostro Paese sono tantissime, mondo scarsamente pubblicizzato, assenza in alcuni posti di strutture adeguate allo svolgimento delle attività e soprattutto di fondi per praticare al meglio il nostro sport. Io, come altri miei colleghi, ho avuto la fortuna di appartenere ad uno dei gruppi sportivi militari, con un posto di lavoro che mi permette di fare della mia passione un lavoro ben retribuito”.
Il periodo più difficile della tua carriera è stato tra 2011 e 2013: cosa è successo e come ne sei uscita?
“Un periodo in cui avevo perso motivazioni, fiducia nelle mie qualità, autostima ed una delle cause era la mancanza di risultati, per me importante. A noi atleti l’appetito vien mangiando e quindi non avendo più il pane da mordere questo appetito calava. Sono arrivata così alla conclusione di cambiare aria, di cambiare la routine e di cercare un nuovo allenatore che potesse aiutarmi nel famoso “salto di qualità”, e con il senno di poi sono contenta delle scelte prese”.
Arriviamo alla storia recente: Mondiale di Pechino 2015. Cosa continuavi a ripeterti per farti forza e tagliare il traguardo e quanto ti è costato nelle settimane successive uno sforzo del genere?
“Ho pagato a caro prezzo il quinto posto perché l’infortunio mi ha tormentato tanto in questi mesi, anche se finalmente sono in via di guarigione. Comunque con il senno di poi rifarei le stesse cose, un quinto posto al Mondiale non è un risultato da tutti i giorni. In gara quello che continuavo a ripetermi era di crederci fino in fondo e che potevo farcela e in questo ero anche aiutata dal mio allenatore, Patrizio Parcesepe, che mi ha sostenuta per tutto il percorso dandomi fiducia”.
La qualità tecnica della marcia italiana è sempre un grande vanto, come mai i giudici spesso non sono così severi anche con atleti meno “perfetti”?
“Non è di mia competenza, ma sinceramente è una domanda a cui anche noi atleti abbiamo difficoltà nel dare una risposta”.
Guardando a Rio, il quinto posto ai Mondiali aggiunge pressione sulle tue spalle o trasmette ancor più energia positiva?
“Il quinto posto per me è stata una conferma dell’ottimo lavoro svolto insieme al mio tecnico e, nonostante l’infortunio, ha lasciato in me tutti i buoni presupposti per sognare in grande in direzione Rio”
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Quella di Rio sarà la tua prima Olimpiade, quali sono le emozioni per un evento del genere? Hai già studiato il tracciato?
“Essere nell’anno Olimpico mi fa svegliare al mattino con pensieri diversi da quelli che si hanno in altre circostanze, si fa tutto in funzione dell’Olimpiade, di quel preciso momento. E’ chiaro che anche le emozioni sono differenti, perché per me questa sarà la prima volta e, come in tutte le cose, la novità porta anche delle piccole ansie ed incertezze, ma supererò anche queste. Il tracciato e le tattiche da usare in gara sono cose che adesso non mi preoccupano e non considero, perché comunque ho ancora del tempo e perché di solito non guardo mai precedentemente questi dati, pensa che a volte non so neanche l’orario delle mie gare!”.
In generale, quanto determinati tracciati possono influire sul risultato finale valorizzando o mettendo in difficoltà le atlete? Quali sono le differenze invece con la marcia indoor?
“I percorsi per noi atleti sono determinanti ai fini della prestazione. È chiaro che con buone condizioni climatiche, con un percorso lineare con poche curve a gomito e soprattutto con un percorso pianeggiante si ottengono risultati eccellenti. A differenza delle gare outdoor, le indoor non affascinano moltissimo noi marciatori e amanti delle lunghe distanze: circuito al coperto di 200 mt, le curve anziché essere in piano sono a parabola e quindi leggermente sopraelevate, e per questo motivo non è facile poter essere perfetti nella tecnica ed allo stesso tempo efficienti nei tempi. Questo è uno dei tanti motivi per il quale preferiamo gareggiare outdoor”.
Per preparare l’Olimpiade hai rinunciato alla Coppa del Mondo a Roma: scelta dolorosa?
“Purtroppo non sarò in gara: sarebbe stato un onore affrontare la sfida in casa, circondata da tanto tifo e persone care, un motivo più per dare il 101 per cento. Ma considerando il mio stop per l’infortunio non posso rischiare, è comunque una gara di passaggio in vista di Rio: bisogna saper fare anche delle rinunce”.
A proposito di Roma, cosa pensi della candidatura all’Olimpiade del 2024?
“Entusiasta, è un motivo di orgoglio per noi atleti Italiani. Se ben organizzata, potrebbe rilanciare e rivalorizzare la città e tutto il nostro Paese”.
Qualche mese fa sui tuoi social hai pubblicato una foto con il messaggio “Non ho mai pensato di doparmi”, e tra i casi più delicati c’è quello di Alex Schwazer. Credi sia giusto concedergli la possibilità di guadagnarsi l’accesso per Rio?
“Ho postato sui social la frase “NO, NON HO MAI PENSATO DI DOPARMI” in risposta ad un’affermazione detta da un mio ex compagno di squadra, Alex Schwazer (che in un’intervista aveva posto questo interrogativo: “Chi, tra tutti gli atleti, non ha mai pensato di doparsi almeno una volta?”, ndr). In tanti hanno seguito questa iniziativa su un gruppo creato da Raimondo Orsini, allenatore di Daniele Greco, perché in tanti crediamo di poter fare questo sport ad alti livelli senza ricorrere a delle scorciatoie. A breve Alex sconterà la pena e potrà ritornare a gareggiare, non spetta a me giudicare e decidere sulla sua possibilità di partecipare ai prossimi Giochi Olimpici”.
Qual è la tua posizione in merito ai 26 atleti deferiti, la metà tra l’altro già assolti, per la questione della reperibilità?
“I miei compagni di squadra di allenamento, di sacrifici e di rinunce sono stati vittime di un malfunzionamento di sistema e ciò ha comportato per loro e per tutto il movimento dell’atletica italiana un grosso danno d’immagine ed economico”.
Ad aver scosso il mondo dell’atletica è stato soprattutto lo scandalo del doping russo e grazie ad un paio di squalifiche ti è stato assegnato l’argento di Euro U23 del 2011. Hai mai avuto il sospetto di gareggiare con avversarie che hanno preferito “scorciatoie”, come le hai definite tu?
“Il caso doping russo è stato un vero ciclone che mi ha sconcertata ma, personalmente, alla partenza di ogni mia competizione ero, sono e sarò sempre convinta di gareggiare alla pari altrimenti non avrebbe senso sognare”.
Raccontaci delle tue scaramanzie o riti prima di una gara.
“Tutti noi atleti abbiamo dei rituali perché in fondo tutti siamo un po’ scaramantici e legati a delle convinzioni che ci accompagnano come macigni ad ogni competizione. Io ne ho diversi ma quello più evidente è un portafortuna realizzato da mia zia Pina, sorella di mia mamma, ed è un fermaglio per capelli molto appariscente. È una margherita a tre stati, quindi rappresentato dai tre colori della nostra bandiera italiana che indosso ad ogni gara in cui vesto la maglia azzurra. E poi ne ho un’altra con i colori del gruppo d’appartenenza, le Fiamme Gialle. Questa storia va avanti dalla Coppa del Mondo a Chihuahua (2010, ndr) e da allora è diventato un portafortuna che dovrà accompagnarmi indiscutibilmente, ma sono anche consapevole che sono delle convinzioni assurde che mi porto dietro e che non sarà l’assenza dei miei rituali a destabilizzare la mia prestazione”.
Ti ispiri a qualche sportivo in particolare?
“Da bambina quando mi sono avvicinata a questo movimento e guardando in tv l’Olimpiade ho sempre sognato di emulare un’atleta importante, di emularla nella sua tecnica, nella sua sicurezza e nella sua bellezza del gesto, non potrò mai più fare il suo nome perché con il tempo si è rivelata una delusione e non è buono pubblicizzare la sua figura per chi ci legge, ma a parte il suo comportamento sbagliato, emulerò sempre l’ex atleta vista dagli occhi di una bambina ignara delle cose brutte che si possono fare da grandi”.
Quali sono i tuoi hobby fuori dalla pista?
“Il mio hobby fuori dalla pista è dedicarmi alla casa. Convivo con il mio ragazzo Lorenzo Dessi, anche lui marciatore, e il mio passatempo è appunto dedicarmi alla cucina, ai continui spostamenti con l’arredo, alle faccende domestiche, tutto questo mi rilassa. Poi mi piace leggere ma ci metto i secoli a terminare libri, ne leggo a volte anche diversi ma sui finali lascio a desiderare”.