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El Paso è la città in cui Sergio Leone decise di ambientare quel capolavoro assoluto che è “Per qualche dollaro in più”. La città del sole, al confine tra il Texas e il Messico, scelta anche da Quentin Tarantino per la celebre scena del massacro al matrimonio di Uma Thurman in “Kill Bill”. Da oggi sarà soprattutto la città che ha dato i natali a Marcell Jacobs, il nuovo campione olimpico della gara regina dei Giochi Olimpici, i 100 metri. Fa paura anche solo scriverlo, sembra una follia: un italiano erede di Usain Bolt, con un tempo di un centesimo inferiore rispetto a quello che valse al giamaicano l’ennesimo oro, cinque anni fa. “Il mio nome completo è Lamont Marcell Jacobs, ma per tutti sono solo Marcell”. Anzi, Marcello da Desenzano del Garda, dove si trasferì con la mamma pochi mesi dopo la nascita e dove ha imparato a correre, veloce come la pistola di Lee Van Cleef. Un raggio di luce nella velocità azzurra, da anni senza un vero punto di riferimento: a metà maggio aveva soffiato il record italiano a Filippo Tortu, aumentando la fiducia per un risultato storico a Tokyo. Che puntualmente è arrivato – oltre, molto oltre le più rosee aspettative – dopo una progressione inarrestabile, dal 9.94 in batteria fino al 9.84 in semifinale e al 9.80 in finale, che assegna di diritto a Jacobs un posto nell’Olimpo. Epico, leggendario.
È la più grande giornata nella storia dello sport italiano, senza ombra di dubbio. Un’emozione superiore a tutti i Mondiali di calcio, alle meraviglie di Pietro Mennea (a proposito, i record europei sui 100 e 200 ora parlano italiano), Alberto Tomba, Federica Pellegrini e Valentina Vezzali. Un’impresa clamorosa, inaspettata, arrivata venti minuti dopo la rivincita col destino di Gianmarco Tamberi. Cinque anni fa, a pochi giorni dall’Olimpiade di Rio, si infortunò alla caviglia sinistra nel tentativo di volare a 2,41. Oggi si è fermato quattro centimetri prima ma è bastato per scoppiare in un pianto liberatorio. In Giappone ha portato con sé, come portafortuna, il tutore che indossò nel lungo recupero; sopra ci aveva scritto “Road to Tokyo”, un messaggio di ambizione e di speranza. Gimbo è subito corso ad abbracciare il compagno di squadra, regalandoci uno dei momenti più intensi di questi primi otto giorni di gare. Due trionfi che non dimenticheremo facilmente, di cui ci renderemo realmente conto solo quando l’adrenalina svanirà e lascerà spazio alla razionalità.
L’atletica azzurra ritrova così il proprio posto nel mondo. Dimentica il fallimento di Rio e si mette alle spalle in pochissimi istanti polemiche, malumori e negatività. Sembrava dovesse essere umiliata nel confronto con il nuoto, che schierava il gruppo più giovane e competitivo di sempre, ma ha avuto subito lo scatto d’orgoglio, che permetterà ora agli atleti che gareggeranno nei prossimi giorni di vivere l’esperienza olimpica con meno pressione e, chissà, di raccogliere qualche altra medaglia. In questa notte così unica e irripetibile, tutto deve passare in secondo piano, compreso qualche flop di troppo nelle specialità in cui eravamo (e saremo ancora, con un po’ di lavoro e prendendo decisioni forti) maestri indiscussi. Adesso è arrivato il nostro momento di gloria e vogliamo godercelo fino in fondo. È il giorno più felice del mondo. Citius, altius, Italia!
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