Editoriali

Diario di bordo da Tokyo 2020: da Saitama a Casa Italia

Tokyo 2020, casa Italia - Foto Mezzelani / GMT

DA TOKYO – ALESSANDRO NIZEGORODCEW

La giornata del 3 agosto si apre, finalmente (ma si stava meglio prima) con Matteo Mosciatti nella mia stessa stanza. Sveglia alle 7.30, colazione (ormai è sempre la stessa o quasi dall’inizio: uova strapazzate, due mini salsiccette, frutta, peraltro non tutta indentificata ma buona, piccolo dolce al cioccolato, succo d’arancia e caffè), e via verso l’Mpc (Media Press Centre) dove incrocio per la prima volta Vanni Gibertini (Ubitennis) e incredibilmente il direttore editoriale di Sportface.it Daniele Palizzotto.

Sulla navetta indosso il mio classico cappello dei Cleveland Cavaliers. Un giornalista americano mi ferma e vuole sapere perché lo indosso. Lui ha seguito i ‘Cavs’ come inviato per tanti anni; gli spiego che sto andando a vedere il ‘Dream Team’ e lui risponde con un quanto mai eloquente “No, ti prego, non chiamarli così”. “Lo so” – rispondo – ma in Italia per noi siete sempre quella roba lì”. ‘Palizz’ intanto vorrebbe comprare la mascotte di Tokyo2020 ma la fila nello store è superiore a quella romana all’uscita del nuovo Iphone. Rinuncia. Ci separiamo: chi va a Casa Italia, chi al volley, chi al basket. Io mi dirigo a Saitama (un’ora da Tokyo), per seguire i quarti di finale di basket: prima Usa-Spagna e poi, ovviamente, Italia-Francia. Sognare non costa nulla, no? Sulla navetta quasi mi addormento (sono stati giorni duri, durissimi, ma ve lo racconteremo meglio una volta rientrati in Italia) e mi dimentico di seguire il live di Germania-Slovenia (dominio di Doncic and company, per la cronaca).

Nella sala stampa della Saitama Super Arena (mamma mia che cosa sarebbe stato, questo impianto, pieno di pubblico) incontro Stefano Tarantino (Ubitennis). Discerniamo di quanto sia totalmente diverso seguire gli eventi dal vivo per comprenderli realmente e poterli raccontare. Magari fosse sempre possibile. Un hot dog volante e via in tribuna stampa perché ho l’impressione, seppur a un’ora da Stati Uniti-Spagna, che i posti non siano semplici da trovare. E in effetti è così, sono molto più in alto rispetto all’altro giorno (avevo seguito Doncic in Spagna-Slovenia), ma almeno riesco a trovare uno degli ultimi posti rimasti.

È il momento degli inni nazionali. I giornalisti statunitensi con la mano sul cuore, mentre quasi tutti i presenti si scattano selfie illegali. Le ragazze giapponesi vigilano e, le poche volte in cui intervengono, fanno il gesto della ‘X’, proprio stile ‘X Factor’, solo che in questo caso è una via di mezzo tra ‘nun se po fa’ e ‘mò t’arestano’. 

Impressionante comunque quanto faccia freddo all’interno della Super Arena. Armatura Fantozzi: maglia di Sportface, golf, clamoroso k-way Zwonn, cappello, cappuccio, ‘banderuola quattro venti in funzione di pennacchio’. No, questa non c’era, ma sarebbe servita. Intanto il primo tempo finisce 43-43 con la Spagna che spreca un buon vantaggio, sia tattico che a livello di punteggio. Gli uomini di Scariolo complessivamente meglio, ma dopo due quarti è equilibrio totale. E non si può dare un vantaggio del genere agli Stati Uniti. Nel terzo periodo Kevin Durant, in particolare, spacca la partita, ma è tutta la squadra a essere più concreta, precisa, fisica e meno frettolosa. I 38 punti di Rubio (partita sontuosa!) non bastano. Nel quarto periodo la Spagna non riesce più a rientrare e gli Stati Uniti volano con merito in semifinale.

Tra questa sfida e l’Italia passeranno circa due ore, ma è bene scendere di qualche fila per un posto migliore. Mancano 90’ per la precisione e sul parquet c’è Alessandro Pajola, da solo, sotto canestro. A cercare la concentrazione e far canestro continuamente da pochi centimetri. Dieci minuti dopo iniziano ad apparire altri giocatori, sia italiani che francesi: alcuni fanno stretching (Tonut, Mannion), altri vanno al tiro. Ognuno cerca la concentrazione. Manca ancora molto all’inizio della sfida, ma la tensione inizia a sentirsi.

Il freddo è sempre devastante. Inizia il riscaldamento ufficiale quando mancano 25 minuti all’inizio della sfida. Nel primo quarto è l’Italia a fare la voce grossa, con due triple in apertura e un 25-20 che lascia ben sperare. La Francia, che domina a rimbalzo con i lunghi, chiude 43-42 il primo tempo. All’inizio del terzo quarto i transalpini scappano via anche a +13. Sembra finita. L’Italia reagisce, la Francia si rilassa un po’. E siamo 66-66. In quel momento l’Italia sembrerebbe avere un po’ di inerzia, ma la percentuale dal campo rimane molto bassa e la Francia, in pochi istanti, si riporta avanti. Gli azzurri lottano, ma non c’è più nulla da fare. Si interrompe così un percorso splendido, iniziato dal preolimpico e conclusosi dopo 4 partite di livello altissimo (due vinte) in quel di Tokyo. Seguo il match accanto a Francesco D’Aniello (ufficio stampa Federbasket) e a Marco Imarisio del Corsera, che finalmente conosco di persona dopo anni a rincorrerci. In comune abbiamo tennis, basket e Milan, praticamente il senso della vita.

Inseguo la navetta per tornare a Tokyo. Ad attenderla alcuni giornalisti sloveni e una troupe di Eurosport con Giulia Cicchinè, che cerca invano di farsi capire da uno degli addetti al pullman. Rinuncia. Le racconto che ormai io parlo con loro tramite Google Translate…

La navetta parte, via verso l’MTM, un’ora di viaggio. Poi altri 40 minuti per l’hotel. Mi cambio al volo e decido di passare a Casa Italia. A piedi. La distanza è minima (1.6 km) ma non ho fatto i conti con la pendenza a mio sfavore (il nostro Fabrizio Lavezzato, esperto di running di Sportface, mi rimprovererebbe per non aver studiato il percorso). Arrivo ma sbaglio ingresso e finisco nell’hotel adiacente. Una ragazza molto gentile, che parla un discreto inglese, mi aiuta e mi accompagna. Passiamo attraverso il cortile interno del Gran Prince Hotel Takanawa, invaso dalle solite cicale giapponesi. Le chiedo come si chiama codesto animale nella loro lingua. Me lo ripete 37 volte ma non riesco a ripeterlo in maniera identica. Sorride e probabilmente vorrebbe morire, ma prova per la 38esima a farsi capire. Comunque si dice così: 蝉 e si pronuncia tipo ‘Semi’. Io le dico che in italiano è ‘cicala’ e lei mi spiega che ‘cicala’ in giapponese significa ‘polare’. Un momento poliglotta per eccellenza. 

Raggiungo Casa Italia alle 22.30, un po’ sudato e un po’ felice. Saluto il grande Palizz e vado a cenare: pasta al pesto e tagliata di manzo. Mi fanno compagnia prima Erika Primavera (Agenzia Dire) e poi Simone Di Stefano (Ansa); grazie che non mi avete lasciato da solo!

Mentre Irma Testa passeggia nella hall di Casa Italia mi incammino, di nuovo, verso l’hotel. Forse ho imparato la strada. Sudato ma contento di poter girare finalmente a piedi per Tokyo, raggiungo l’obiettivo (stavolta in discesa e ‘col prosecco in mano’) ed esulto. È tempo di dormire, domani proveremo a portare in auge Volley e Beach Volley. Ciao a tutti, ciao a tutti, ciao a tutti.

SportFace