Editoriali

Diario di bordo da Tokyo 2020: da Jacobs a Ferrari passando per Tamberi

Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi
Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi - Foto Pagliaricci/GMT

DA TOKYO – ALESSANDRO NIZEGORODCEW

Questo diario di bordo parte da lontano, da quei 10 incredibili minuti in cui l’Italia ha conquistato le medaglie d’oro di Tamberi e Jacobs. E arriva sino al meraviglioso argento di Vanessa Ferrari, con una coda notevole dedicata alla prima vera cena fuori qui in Giappone. E allora, rewind…

Io, fermo col computer in mano collegato al Wi-Fi di uno dei pullman al MTM (da dove partono tutti i pullman qui a Tokyo). Tamberi ha vinto. L’ho visto sul primo pullman. Ma il secondo pullman parte tra 28 minuti. Ho perso quello precedente per 2 minuti. Una volontaria si fomenta. “Che bella, i 100 metri sono LA gara”, mi dice in inglese (una delle tre persone che parla inglese in tutto il Giappone, credo) tutta emozionata. La gara sta per partire. Il pullman a cui sto rubando Wi-Fi parte, così come quello accanto. Salta tutto. Salta Discovery. Imprecazioni infinite.

Arriva il mio pullman, ma ormai saranno partiti. Torna il segnale. “Oh no, è finita”, sostiene lei. “No no, è una falsa partenza… adesso inizia, la vediamo!” Il cuore batte forte, per l’ansia di aver perso la gara del secolo e perché… invece sta per iniziare la gara secolo! E riuscirò a vederla.

Partono. Jacobs va subito come un treno, vola, ai 70 metri urlo “oddio vince, non ci credo vince”. Esulto. Un braccio in cielo, l’altro tiene il computer, la giapponese saltella. Mi dà il pugno! Ci facciamo una foto, abbiamo vinto! “Congratulazioni”, mi dice. “Grazie”, rispondo, come se avessi corso io.

IL PODCAST SU TAMBERI E JACOBS

Oggi ho deciso di andare a seguire il tiro a segno. Non ho calcolato benissimo le distanze e, in taxi, arrivo a destinazione dopo una quarantina di minuti. L’Asaka Shooting Range è lontano. Dove sia, esattamente, non lo so; ma è lontano. Arrivo intorno alle 11, quando i partecipanti alla prova di carabina 50 metri 3 posizioni stanno per iniziare il warm-up. Piccola parentesi: per arrivare il taxi passa anche un casello. In quello che è palesemente il telepass giapponese, il tassista corre a velocità inaudita e la sbarra si alza un istante prima del nostro passaggio. Come l’ho vissuta? Come il fioretto maschile in Giappone (che si risolleverà, ne sono certo!).

Tra fase di riscaldamento, 120 colpi sparati (40 in ginocchio, 40 a terra, 40 in piedi), passano quasi tre ore e mezzo. E non so se avete mai visto da vicino le tute (una via di mezzo tra una tuta normale e quella degli astronauti), lì dentro deve fare un grande caldo. Vento, caldo e l’ansia da Olimpiade, che può bloccarti quando meno te lo aspetti. Anche ai tuoi sesti Giochi Olimpici. Così accade a Marco De Nicolo, che nella seconda serie a terra si arena, si blocca, sbaglia. Poi si riprende ma è troppo tardi, il tiro a segno è così. Puoi sbagliare una volta, forse due, poi sei fuori.

E lo sa bene anche Lorenzo Bacci, 26 anni, alla prima Olimpiade, che non è nemmeno partito male, salvo poi incartarsi subito dopo. “Ero partito bene, ma non avevo buone sensazioni – mi racconterà dopo -. Al primo Mondiale ero arrivato ultimo e poi mi sono comunque qualificazione per Tokyo, speriamo di arrivare pronti a Parigi 2024”. Dove probabilmente ci sarà anche De Nicolo, ma in veste di allenatore. “Penso sia la mia ultima Olimpiade – mi ha detto il classe ’76 – voglio diventare tecnico e seguire i ragazzi giovani. Ce ne sono tanti, anche poco conosciuti e attualmente lontani dalla nazionale”.

A seguire De Nicolo arriva Malagò, che sarà poi anche da Lupo/Nicolai e ovviamente da Vanessa Ferrari. Considerando le distanze, probabilmente il presidente del CONI ha una Batmobile segreta. E c’è anche Niccolò Campriani, olimpionico azzurro presente a Tokyo al seguito del gruppo dei rifugiati. Sguardo vispo, attento, curioso e mai banale, come sempre.

Torno al MTM (Media Transport Mall, dove partono tutti i pullman verso i campi gara) e mi dirigo all’Ariake Gymnastic Centre. Tra poco c’è Vanessa Ferrari. Non ho ancora toccato cibo e sono le 16.50. L’unico panino in vendita, in attesa di Vanessa, è con uovo e cotoletta. Leggiadro, a dir poco (‘leggiadro’ che, peraltro, è aggettivo con cui mi sono sentito di definire Rubio, dopo aver assistito ieri a Slovenia-Spagna a Saitama. Ecco, se Rubio è leggiardo, Doncic è avveniristico, ma ci torneremo nei prossimi giorni). Il panino mi ridà vita, al momento.

Entro nell’impianto. Altra struttura splendida, che provo a immaginare piena di pubblico e mi vengono i brividi. Di gente, comunque, ce n’è. Addetti ai lavori, giornalisti, compagni di squadra. Anelli come preambolo (primo e secondo due cinesi) e si comincia. Jade Carey, la statunitense, non fa rimpiangere Simone Biles ed effettua un grande esercizio. Le altre non riescono a starle dietro. Mentre ogni persona all’Ariake Gymnastic Centre si fa un selfie (non si potrebbe, severamente vietat0), arriva il momento di Vanessa Ferrari. Potente, sicura, grintosa, sublime. Tutto meraviglioso. Non basta per l’oro, ma per la prima medaglia olimpica si.

Mi incammino verso il pullman che mi porterà all’MTM; da lì navetta per l’hotel. In poco più di un’ora sono a casa. Ho un pezzo da consegnare e poi cena fuori, incredibile! Carne buonissima, patatine, e ribs. Che volere di più da Tokyo? Sicuramente qualche altra medaglia, perché questa situazione che molti hanno definito ‘fallimentare’ (probabilmente sulla base del proprio sentimento di inadeguatezza, è invece un grande successo. A domani, signori!

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