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Nuoto, Barelli: “Futuro non roseo, servono fondi. Fatti errori in ambito Coni”

Paolo Barelli - Foto Sportface

Paolo Barelli, presidente della Federnuoto, porta nuovamente l’attenzione sulla crisi post-Covid e le difficoltà di ripartenza, soprattutto per l’attività di base. “La prospettiva non è rosea” spiega Barelli in un’intervista a Il Corriere dello Sport, “il Paese ha mille difficoltà, forse le conseguenze ancora non le percepiamo. Ci sono settori come turismo e commercio che sono in ginocchio. È normale che lo sport soffra nello stesso modo se non di più, perché chi riapre adesso un impianto deve fare i conti con un 70% in meno di incassi e sarà così almeno fino a settembre“. Per quanto riguarda il calcio, unico sport ad aver ripreso la stagione, Barelli ha dichiarato: “Gravina ha fatto bene a insistere, il mondo del calcio può permettersi percorsi diversi rispetto a tutti gli altri sport. A noi è dispiaciuto fermarci ma è stata una scelta inevitabile”.

Prima dei campionati italiani ad agosto ci sono 20 regionali, per noi contano di più quelli e infatti come Fin saremo noi a sostenerne i costi per più di un milione” prosegue il numero uno della Federnuoto, “i regionali sono un messaggio importante per tutto il movimento. Per chi è riuscito a ripartire e per chi ci sta ancora provando. In tanti sono a rischio chiusura. Il governo ha fatto molto ma non basta: l’accesso al credito resta complesso così come i contributi a fondo perduto“. “Prendiamo poi i 600 euro per i collaboratori sportivi: coprono 2-3 mesi, ma poi deve esserci un gestore di impianti che deve di nuovo essere in grado di pagare i collaboratori altrimenti la filiera non si riavvia” ha aggiunto Barelli, “ma il ministro Spadafora ha preso a cuore il problema che ora conosce bene. Però va aiutato a reperire fondi a favore degli impianti sportivi perché se falliscono e non riaprono possiamo dire addio all’attività motoria nel nostro Paese. E la prima a essere cancellata sarà l’attività agonistica. Ci potremo scordare i nuovi Pellegrini, Paltrinieri, Cagnotto“.

L’Italia è un paese anomalo che si affida in sostanza al volontariato sportivo. All’estero ci sono impianti pubblici gestiti dai comuni, lo sport lo fai anche o soprattutto nelle scuole. Da noi la prima soluzione per trovare nuove aule è occupare le palestre… Questo è il rapporto che c’è tra lo sport e la scuola. E lo dico senza polemica, non è un discorso di appartenenza politica, sto solo fotografando la realtà” sottolinea Barelli. Dopo le gare di agosto, sarà tempo delle elezioni a settembre: “Mi meraviglio di chi si meraviglia. Nel 2016 l’assemblea elettiva è stata a settembre e sarà così anche quest’anno: il 5, nella tribuna autorità dello stadio olimpico per rispettare il distanziamento sociale. Sono le regole, c’è lo statuto della Fina che è chiarissimo. Quattro anni sono 4, non possono diventare 5. Trovo originale che qualcuno si sorprenda quando vengono rispettate le regole“. “Se c’è un erede di Barelli? Morto un papa se ne fa un altro…” ha aggiunto il presidente, “ma in questo momento di grande crisi c’è da completare un percorso di riavvio. Poi sono sicuro che in futuro ci saranno dirigenti capaci in grado di prendere il mio posto. Ma se un dirigente è bravo io me lo terrei a vita, senza vincoli di mandato. Non stiamo parlando di un’attività remunerativa“.

Una federazione, tra l’altro, dal punto di vista legale è un’associazione privata” specifica Barelli, “ci sono aspetti costituzionali da considerare. Io candidato alla presidenza del Coni? Lo escludo. Anche perché oggi la realtà dello sport viene seguita in altri ambiti: c’è un ministero, c’è sport e salute. Se oggi la situazione è questa, posso pensare che in ambito Coni siano stati fatti degli errori…“. Tempi di attesa anche per una proposta di riforma dello sport. “Spadafora ha ereditato una legge delega e un compito molto delicato. Deve in poco tempo emanare decreti per la riforma radicale dello sport. Gli argomenti sono tanti: la distinzione tra professionismo e dilettantismo, il lavoro sportivo. Lo aspetta un compito difficile perché lo sport in Italia poggia sull’attività delle società sportive, fragili economicamente e caratterizzate dall’impegno di dirigenti per lo più volontari. Quindi il nostro mondo si regge sulla passione di migliaia persone che vanno sostenute, per continuare a essere il motore senza costi dello sport nel paese“.

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