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A cura di Francesco Caielli
Insieme. Ecco la parola che viene in mente parlando con Marco Dolfin e sua moglie Samanta. Insieme. La loro è una storia, una di quelle che possono venir fuori solo da un mondo così: direttamente dalla piscina di Lignano Sabbiadoro dove si stanno svolgendo le World Series di Para Swimming. Marco nuota e nuota forte, Marco sorride e sorride convinto: soprattutto quando incrocia lo sguardo dei suoi piccoli Mattia e Lorenzo che dal padre hanno già preso la voglia di vincere sempre, soprattutto quando ascolta la sua Samanta che parla.
Lui chirurgo, lei infermiera: un amore nato e cresciuto tra le corsie di un ospedale, dove un lavoro fatto di rinunce e orari balzani cementa i rapporti e insegna a dare valore al tempo passato insieme. I progetti, il matrimonio, il futuro, il destino: che poi decide di cambiare i piani, decide di infischiarsene dei sogni altrui, decide di mettersi di mezzo. Un incidente, appena tornati dal viaggio di nozze. Un incidente in moto che lascia Marco su una sedia a rotelle e ribalta tutto: ribalta le prospettive, ribalta i valori e ribalta la vita. Ma non riesce a scrivere la parola fine a una storia che vuole continuare ad essere raccontata.
Marco Dolfin ha continuato a fare il chirurgo, facendosi costruire un esoscheletro su misura per continuare a stare in piedi in sala operatoria. Marco Dolfin ha continuato a fare il marito, di fianco alla sua Samanta e basta vedere come si guardano negli occhi per capire tutto. Marco Dolfin ha iniziato a fare il papà, con l’arrivo di due gemelli che si sono già innamorati del loro eroe. Marco Dolfin ha iniziato a fare sport, perché fare sport è troppo importante nella continua e costante necessità di far pace con un corpo che è cambiato.
“A dire il vero – racconta – ho sempre fatto sport: fin da piccolino. E ho continuato a farlo crescendo, nei lunghi anni dell’università quando sommerso dai libri era diventato una valvola di sfogo fondamentale. Ho giocato a calcio, ho nuotato, alla fine mi ero innamorato di uno sport divertentissimo che nessuno conosce e si chiama Hit Ball: andate a vedervelo, merita”.
Però c’è uno sport prima, e uno sport dopo. “Io – continua Marco – amo troppo vincere, primeggiare: e questo può essere un problema. Dopo l’incidente sapevo che avrei continuato a fare sport, ma sapevo che non mi sarei accontentato di partecipare: all’inizio è stata dura, ho preso un po’ di scoppole, poi ho capito che il nuoto era la strada giusta. E sono arrivati i risultati, in un costante equilibrio tra un lavoro che continua a prendermi sempre di più, una famiglia che si è allargata, gli allenamenti quotidiani e le trasferte per partecipare alle gare”.
“Ma io – interviene la moglie Samanta – non posso che incoraggiarlo, perché l’attività sportiva per lui è stata ed è troppo importante. Se fosse ancora “in piedi” non so se avrei fatto lo stesso, perché i sacrifici e le rinunce sono tante: ma in questi ultimi due anni non mi sono mai sognata, neppure una volta e neppure per un secondo, di dirgli di lasciare perdere con lo sport. Mai. Anche se fare la mamma senza comunque lasciare il lavoro, con due gemellini arrivati come due splendidi uragani, non è sempre semplice. E dalle corsie di un ospedale a quelle di una piscina, in fondo, il passo non è poi così lungo…”.
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Samanta e Marco intanto si danno il cambio, nel tenere d’occhio i piccoli Mattia e Lorenzo: “Che noia quest’intervista, quand’è che andiamo in spiaggia?”. “Io – continua lei – mi sono innamorata della sensibilità di Marco e della sua bravura sul lavoro, del suo amore per il suo lavoro. L’incidente l’ha cambiato? Sì: ma l’ha cambiato in meglio, l’ha fatto un uomo con una sensibilità diversa che se possibile me lo fa piacere ancora di più. Sono arrivati questi due bambini, e subito si sono innamorati perdutamente del loro papà che è diventato il loro eroe”.
Già, i bambini. Che faranno delle domande, che si troveranno in un mondo in cui i compagni chiederanno del loro papà diverso, che avranno bisogno di risposte. “C’è – dice Marco – un episodio, un momento che non scorderò mai. Lorenzo -aveva meno di un anno, mi stava guardando e a un certo punto ha abbassato lo sguardo fissando la carrozzina. Io ho capito, l’ho capito che aveva visto qualcosa di diverso. Loro cambiano tutto, perché tu raggiungi un equilibrio con te stesso e credi di avere trovato una quadra ma loro ribaltano ogni cosa e sei costretto a trovare un equilibrio nuovo. Diverso”. “Ma noi – dice Samanta – con i bimbi siamo molto naturali: hanno visto il loro papà solo in carrozzina, per loro questa è la normalità. Quando Marco è tornato da Dublino con la medaglia d’argento, i gemelli l’hanno portata all’asilo e l’hanno mostrata ai loro compagni seduti in cerchio. Uno di loro ha detto qualcosa del tipo “Ma come ha fatto il tuo papà a vincere, che non muove le gambe?” E Lorenzo ha risposto candidamente “Il mio papà nuota a rana, le gambe non servono”.
Eccoli, loro quattro: la famiglia Dolfin e mai una parola così, “famiglia”, è piena di un significato unico. “Sogno – dice – di fare un’altra Paralimpiade, anche se gli avversari iniziano ad avere vent’anni meno di me ed è sempre più difficile. Ma di sicuro, lo sport farà sempre parte della mia vita: la mia vita di marito, papà, chirurgo. Uomo”.
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