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INTERVISTA – Emanuele Costanzo: “Dalla Spartan Race alla maratona di New York cercando il mio limite”

Lo scorso 5 novembre ha tagliato il traguardo della maratona di New York portando a termine la sua prima 42km in 4h29’. Emanuele Costanzo, 33enne milanese, ci ha rilasciato una bella intervista: non è solo un runner, ma pratica con passione una disciplina chiamata Spartan Race che, come si può intuire dal nome, unisce corsa e prove ad ostacoli. Appena tornato dalla trasferta americana, Emanuele ha risposto in esclusiva alle domande di Sportface.it.

Emanuele, prima di parlare della maratona di New York, ti va di spiegare ai non addetti ai lavori in che cosa consiste lo Spartan Race?
“Certo, volentieri. E’ una disciplina che si svolge su percorsi sterrati, simili a quelli delle gare di trail. Non si tratta però solo di correre, ma occorre superare degli ostacoli di vario genere, per cui bisogna essere veloci, saper saltare ed arrampicarsi, unendo forza fisica ed elasticità muscolare, tutte componenti che si sviluppano attraverso un circuito funzionale svolto in palestra. E’ una disciplina che pratico a livello agonistico da circa un anno e mezzo, avendo partecipato alla prima gara ad Orte, nell’Aprile 2016”.

Come ti sei avvicinato allo Spartan Race?
“Mi alleno con continuità in palestra da oltre 10 anni, lavorando su dorsali, bicipiti, pettorali, spalle e gambe. Ad inizio 2016 avevo sentito parlare di uno Spartan Race da svolgersi vicino a casa mia, a Malpensa, nel mese di giugno nel Crossodromo del Ciglione, di fronte all’autostrada Milano-Varese. Ho pensato che potevo provarci e, in previsione di Malpensa, mi sono buttato nella gara predicente del calendario, quella di Orte appunto”.

Ci descrivi la gara?
“Sia Orte che Malpensa sono due gare definite sprint, cioè svolte su una distanza variabile da 5 a 7 km, ma la lunghezza precisa si conosce solo il giorno della gara”.

Come, prego? Una gara di distanza ignota?
“Più o meno (ride, ndr). Prima della gara i concorrenti conoscono esclusivamente la location ed la classificazione dello Spartan Race, che può essere sprint (5-7 km con 15 ostacoli, nd), super (13-15 km con 20 ostacoli, ndr), beast (20-23 km con 25 ostacoli, ndr) e ultra-beast (50+ km con 30+ ostacoli, ndr). La classificazione dà una stima della lunghezza, senza però fornire ulteriori dettagli sul percorso, che rimane segreto fino allo start. I ristori sono previsti solo per i livelli beast e ultra-beast”.

Come ti sei trovato in queste gare?
“Le ho trovate massimamente stimolanti, la competizione è massima, l’adrenalina schizza a livelli altissimi”.

Raccontaci qualche aneddoto.
Nello Spartan Race di Taranto, un super che ho affrontato ad ottobre 2016, il percorso si snodava lungo le insenature della costa ed abbiamo dovuto attraversare a nuoto dei piccoli tratti di mare. A gennaio di quest’anno ho partecipato ad uno sprint in Valmorel (Francia): la competizione era a 2.000 metri, abbiamo gareggiato sul ghiaccio. A settembre mi sono recato invece in Repubblica Ceca, a Liberec per un beast e mi sono trovato di fronte un percorso di 28 km con oltre 30 ostacoli: uno di questi era rappresentato dal letto di un fiume che dovevamo attraversare a nuoto. Gli ostacoli non si possono aggirare: molto spesso chi non riesce a superarli deve svolgere una trentina di burpees, che sono delle specie di flessioni. Nel caso del fiume da superare a nuoto, non esistevano penalità. Chi non si tuffava veniva immediatamente squalificato dai giudici”.

E il running?
“E’ una passione nata quasi in parallelo allo Spartan Race. Ho fatto la mia prima gara nel 2015, partecipando alla Stramilano e poi alla staffetta della maratona di Milano, correndo l’ultima frazione di 10,6 km in 45’ circa. Per un po’ di tempo non ho gareggiato su strada, poi all’inizio di quest’anno, pur continuando con lo Spartan Race, ho deciso di iscrivermi alla maratona di New York”.

All’improvviso ti sei iscritto ad una maratona? Perché? E perché proprio New York?
“Sì e non è stata una scelta casuale. Ero alla ricerca del mio limite personale. La maratona è, a mio avviso, la competizione principe che può essere portata a termine anche senza essere professionisti. La scelta di New York è stata dettata proprio dalle difficoltà insite nel tracciato di gara: non è Berlino dove si va per correre il primato personale. Il percorso di New York è duro, nervoso, ideale per ciò che stavo cercando. Ideale per mettermi alla prova”.

Come ti sei allenato?
“In tutto questo percorso di avvicinamento sono stato aiutato da Matteo Deambrosi, un personal trainer ed osteopata, che oltre a curare la preparazione fisica è stato fondamentale nel mettere a posto la schiena, stressata dagli allenamenti”.

Hai fatto qualche gara in avvicinamento a New York?
“Sì, ho corso 2 mezze maratone, a fine marzo a Torino e a fine maggio a Lugano, entrambe con tempi intorno a 1h45’. L’8 ottobre ho corso invece una 30km ad Ostia in 2h45’ circa: lì ho capito che potevo arrivare in fondo alla maratona, anche perché il giorno successivo i muscoli stavano bene”.

Parlaci di New York. Che cosa ti è rimasto dentro?
“Ho cercato di affrontarla in maniera tranquilla, nel senso che non ho cambiato l’approccio rispetto alle altre gare, senza farmi condizionare dall’emozione: la sera precedente ho mangiato il classico piatto di pasta ed ho dormito normalmente. Certo, l’atmosfera di avvicinamento alla manifestazione è senz’altro unica, soprattutto la mattina della gara. L’organizzazione è perfetta: quando si viene prelevati dall’hotel per arrivare alla linea di partenza, si respira un clima quasi magico, poi quando si sente l’inno americano sul ponte di Verrazzano, si capisce realmente di essere protagonisti di un evento direi unico nel suo genere”.

E durante la gara?
“La gara è certamente il momento che resta più impresso, con un fiume di persone che ti incitano, ti offrono un’arancia, con i bambini che si sporgono per battere ‘il cinque’. Fantastico”.

La famosa crisi del 30° km si è fatta sentire?
“Sono andato un po’ in crisi intorno al km 27. Ero coscientemente partito con un ritmo leggermente più veloce perché sapevo che un po’ di crisi sarebbe arrivata, ma volevo portarmi più avanti possibile. Ho stretto i denti, ho rallentato leggermente e ne sono venuto fuori direi bene. Ho visto molta gente afflitta dai crampi e problemi di stomaco nella seconda parte di gara: tanti sono stati costretti al ritiro”.

Hai mai pensato di non farcela, di doverti fermare?
“No, sono sempre stato convinto di arrivare in fondo. Tagliare il traguardo con il tricolore sulle spalle è stata una grandissima soddisfazione. Bisogna provarla”.

Adesso che cosa farai, Spartan Race o altre maratone?
“Certamente in futuro tornerò a New York per correre ancora, però sto meditando, credo che nel ricercare il proprio limite ci si debba evolvere. Magari parteciperò ad una ultra-beast, ma non escludo di inserire bici e nuoto per provare il triathlon o magari l’iron man”.

Sempre alla ricerca del limite?
“Sì, sempre! Non a caso qualcuno ha scritto che solo individuando il proprio limite si riesce a superarlo”.

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