Interviste Esclusive

INTERVISTA – David Nikolli “La federazione albanese mi ha lasciato solo. Sogno Europei e Olimpiadi”

David Nikolli
David Nikolli

Sognavo di diventare un calciatore. Il mio idolo era Robin Van Persie, un attaccante completo che sapeva unire velocità, tecnica e capacità realizzative”. Questa frase potrebbe averla pronunciata chiunque di noi; il sogno del calcio in giovane età, il mito di un grande centravanti da emulare. In bocca a David Nikolli queste parole assumono però un significato particolare, perché particolare è la sua storia. Nato in Albania il 20 giugno 1994, Nikolli vive ora a Pavia ed è tesserato per la Società Cento Torri Pavia, dove si allena sotto la guida scrupolosa del suo coach Alberto Colli.

David, la tua è una storia complessa. Quando e come sei arrivato in Italia?
“In famiglia siamo 10 fratelli, sette maschi e tre femmine, io sono il più giovane. In Albania c’erano poche prospettive, alcuni miei fratelli vivevano già in Italia quando, all’età di 15 anni ho deciso di partire anche io per venire a vivere qui. Ci ho messo sette giorni”.

Traghetto e poi treno?
“Macché! A piedi. Ero con altri due ragazzi, loro erano maggiorenni, io ancora no. Volevo raggiungere Prato, dove abitavano due dei miei fratelli. Abbiamo camminato per sette giorni senza sosta, attraversando tutti i gli Stati immaginabili (ride, ndr): Serbia, Montenegro, Croazia, Slovenia. Io volevo giocare a calcio, era il mio sogno”.

Ci sei riuscito?
“Ho avuto difficoltà. Avevo problemi con i permessi di soggiorno, non riuscivo a impostare una stagione con una squadra in maniera stabile. A Prato non andava bene, per cui ho deciso di spostarmi a Milano, dove viveva un altro mio fratello”.

E a Milano hai trovato squadra e lavoro.
“Sì, soprattutto il lavoro. Ho iniziato a lavorare per una società di commercio online e logistica, ottenendo anche un contratto a tempo indeterminato. Nel frattempo ho continuato a giocare a calcio fino all’Eccellenza, militando, tra le altre squadre, in Oltrepò, Accademia Pavese e Sant’Angelo Lodigiano. Giocavo come attaccante esterno, ero abbastanza bravo, ma soprattutto veloce. Pian piano però ho capito che il mio sport in realtà era un altro”.

Spiegati meglio.
“Io correvo di continuo, ovunque. In partita ed in allenamento. ‘Tiravo’ sempre il gruppo, per me era naturale. La gente mi guardava e mi chiedeva perché non avessi mai provato a fare atletica. Così un giorno, circa 18 mesi fa, mi sono deciso e mi sono presentato alla Cento Torri Pavia, dicendo che volevo correre”.

Alla Cento Torri cosa ti hanno risposto?
“C’era Alberto Colli, il mio attuale allenatore. Mi disse di tornare il giorno seguente per fare un test. Da allora la corsa è parte della mia vita”.

Le cose sono andate subito bene.
“Ho cominciato a correre e quasi subito ho cominciato a vincere. Mi ricordo la Corripavia dell’ottobre 2016. E’ una mezza maratona molto partecipata. Io non ne avevo mai corsa una, mai fatto una distanza così lunga. Ho vinto in 1h09’00’’, battendo il record nazionale albanese sulla distanza, vecchio di oltre 20 anni. Poi mi sono dedicato alle gare più brevi, che ho capito essere ideali per me, correndo a Padova a Gennaio 2017 un 3.000 metri indoor in 8’20’’, tempo che rappresentava il primato nazionale albanese e che ho ulteriormente abbassato a 8’11’’ a Trento nel luglio scorso. Sui 1.500 metri ho corso a Gavardo, nel bresciano, in 3’47’’, anche questo record albanese sulla distanza”.

A fronte di risultati del genere, ottenuti in nemmeno due anni di pratica agonistica, qualcuno dall’Albania si sarà accorto di te.
“Ecco, qui inizia la parte più complicata della storia”.

Hai voglia di raccontarcela?
“In accordo con il mio allenatore, nel giugno scorso, ho contattato io via mail la federazione albanese per segnalare i miei risultati. Mi hanno risposto per convocarmi ai Giochi dei Balcani che si sono tenuti in Serbia a fine luglio. Mi sono presentato all’appuntamento dopo un lungo viaggio e praticamente il giorno dopo ho corso i 1500 metri senza poter riposare, ottenendo il 5^ posto. Nella gara successiva, i 3.000 metri, ho vinto la medaglia d’oro, correndo in 8’31’’. E’ stata la prima medaglia d’oro della storia dell’Albania in questa competizione”.

Complimenti.
“Eh sì, una bella soddisfazione, a cui sono seguite tante promesse da parte della federazione albanese. Si è mosso anche il Ministro dello Sport Lindita Nikolla , per darmi garanzie sul supporto che mi sarebbe stato dato per prepararmi adeguatamente ai futuri appuntamenti. Io ingenuamente mi sono fidato”.

Che vuoi dire?
“Voglio dire che mi hanno assicurato che mi avrebbero aiutato. Mi hanno anche chiesto di lasciare il lavoro per allenarmi a tempo pieno, come un atleta professionista. Io, preso dall’entusiasmo, ho accettato, ma non ho avuto i ritorni sperati”.

Non ti hanno aiutato?
“Per settimane non si è fatto sentire nessuno. Io ho continuato ad allenarmi ogni giorno con dedizione, finchè non mi hanno convocato per correre la mezza maratona di Tirana il 15 ottobre scorso. Mi hanno detto che, se volevo aver riconosciuto il primato nazionale albanese, avrei dovuto correre in Albania, perché per loro il risultato di Pavia non aveva valore. Un’argomentazione senza senso: come se la federazione italiana non avesse riconosciuto il record di Mennea solo perché corse a Città del Messico e non a Roma”.

Tu comunque ci sei andato.
“Sì, ci sono andato, preparandomi per bene, anche se ho fatto fatica perche la mezza non è la mia gara e stavo facendo una preparazione per distanze da correre in pista. Nonostante tutto ho ritoccato il primato, concludendo in 1h07’26’’. Il giorno dopo la gara, il 16 ottobre, il Ministro dello Sport mi ha ribadito che ci sarebbe stato per me il massimo supporto, chiedendomi di andare il giorno successivo per parlare dei dettagli. Era con me anche il mio amico e compagno di allenamenti Andrea Albanesi”.

Il 17 ottobre invece che cosa è successo?
“Il Ministro non c’era. E’ venuto un suo collaboratore che mi ha detto che dovevo tornare ad allenarmi e gareggiare in Albania. Queste era la condizione che ponevano”.

Non te la sei sentita di accettare?
“Ma come facevo ad accettare? Tornare in Albania per fare che cosa? In quali strutture avrei potuto allenarmi e contro chi avrei dovuto competere per migliorarmi? Tornare in Albania avrebbe significato dire addio alle mie speranze di emergere. Io sono orgoglioso di essere albanese, ma in Italia ho trovato un ambiente ideale, strutture all’avanguardia e persone di provata professionalità. Non avrebbe avuto senso tornare a casa”.

Quindi a ottobre sei tornato a Pavia, senza però alcun supporto da parte della tua federazione.
“Esatto. Mi sono dovuto aggiustare da solo, anzi devo ringraziare la Società Cento Torri Pavia ed il mio allenatore, che hanno trovato una soluzione logistica che mi permette di vivere vicino al campo per allenarmi. Ci tengo anche a ringraziare il mio medico Marita Gualea ed i ragazzi dello Studio Fisios di Travacò Siccomario, Andrea Mussi e Luca Bruni, che si prendono cura delle mie articolazioni. E’ anche grazie alla disponibilità di queste persone se riesco ad allenarmi al meglio”.

L’obiettivo di quest’anno?
“Non ho dubbi. Provare ad ottenere il minimo per partecipare agli Europei di Berlino nel prossimo agosto sui 1.500 metri. Devo correre sotto 3’40’’. Posso farcela, ne sono convinto. Adesso stiamo impostando un lavoro specifico di preparazione, poi, da marzo in avanti, inizierò con le gare”.

La tua giornata tipo?
“Molto semplice. Sveglia presto e sessione mattutina di allenamento in piscina, generalmente fino alle 10. Rientro a casa e, dopo il pranzo ed un breve riposo, vado al campo di allenamento per il lavoro i pista. Abitualmente iniziamo alle 14.00. Al termine del lavoro in pista, nuova tappa in piscina per il terzo allenamento della giornata. Di regola,  dopo cena crollo e vado a dormire piuttosto presto”.

Una “vita da caserma”, verrebbe da dire.
“Io credo che il talento da solo non può bastare. Se si vuole emergere bisogna lavorare. Testa bassa e tanto lavoro. Io voglio realizzare i miei sogni, il più grande dei quali sarebbe quello di partecipare ai Giochi Olimpici di Tokyo nel 2020”.

Se dovessi ottenere il pass per gli Europei, indosseresti la divisa della nazionale albanese. Dopo quanto successo che sensazione ti darebbe?
“Ne sarei onorato, io sono orgoglioso di essere albanese e niente di ciò che è successo può cambiare questo mio sentimento. Però adesso l’importante è essere concentrati sull’obiettivo da raggiungere”.

Un’altra provocazione: la maglia azzurra? Ci hai mai pensato?
“L’Italia mi ha adottato, è il luogo in cui continuerò a vivere. Tutto può succedere, ma ora penso solo a far bene per me stesso e per la mia nazione”.

Potendo tornare indietro, faresti le cose in modo diverso?
“Bella domanda, anche un po’ cattiva (ride, ndr). Ho 23 anni e ancora tanti margini di miglioramento, ho fatto le scelte seguendo il cuore e l’istinto. Forse ripensandoci avrei potuto cominciare prima con l’atletica, me lo dicevano in tanti, ma io volevo  giocare a calcio. Iniziare prima poteva significare essere più pronto per gli appuntamenti di quest’anno, ma in ogni caso il futuro è ancora tutto da scrivere e dipende da me. Voglio dare il massimo e realizzare i miei sogni”.

Ultima domanda: dovremo aspettare marzo per vederti in gara?
“In realtà il 4 febbraio farò un’ultima gara su strada, la StraMagenta, una 10km molto intrigante qui in Lombardia”.

Che obiettivo hai per questa gara?
“Uno solo: vincerla”.

SportFace