Formula 1

F1, da Bianchi a Hubert: quando la massima sicurezza non basta

Spa-Francorchamps - Foto kevinmcgill - CC-BY-SA-2.0
Spa-Francorchamps - Foto kevinmcgill - CC-BY-SA-2.0

La paura è quel sentimento che cerchiamo di reprimere, ma in qualsiasi momento torna in auge. In Formula 1, così come nelle moto, la paura di morire non è contemplata, altrimenti nessuno avrebbe più il coraggio di correre. Sabato scorso, sul circuito di Spa-Francorchamps quest’angoscia è ritornata con forza nella mente dei piloti e dei tifosi dopo il terribile incidente in F2 che è costato la vita ad Anthoine Hubert. Queste tragedie però sono nel DNA della Formula Uno e del motorsport, perché sono sport estremi: “Motorsport is dangerous“. Sembra una frase di circostanza scritta su ogni biglietto per l’autodromo, invece è pura realtà.

Quando questi sport nacquero le gare erano delle vere e proprie carneficine, perché le monoposto non erano come quelle attuali, bensì delle “bare con le ruote”. Oggi, invece, queste tragedie avvengono con meno frequenza e la sporadicità di queste situazioni è merito anche dell’enorme passo in avanti fatto sulla sicurezza in pista e sulle monoposto. Dopo la morte di Jules Bianchi infatti erano state mosse delle accuse molto forti verso la direzione gara e la FIA, perché in quell’occasione non erano state prese le dovute accortezze che costarono la vita al giovane francese. Perciò a partire dal dicembre 2014 la FIA ha introdotto ulteriori misure di sicurezza: VSC, caschi più resistenti e l’Halo, soltanto per citarne alcune.

Queste tutele preventive riducono notevolmente il rischio di incidenti, ma non si potrà mai togliere quella piccola percentuale di rischio. In Belgio la tragedia è nata da una serie di concause come la tardiva esposizione della bandiera gialla nel primo settore, ma soprattutto dalla sfortuna. Mentre la monoposto di Alesi è rimasta ferma sulle barriere, quella di Hubert è rimbalzata di nuovo in pista proprio nel momento in cui stava arrivando Correa. L’americano non ha potuto frenare a sufficienza per evitare l’impatto.

La FIA, i commissari di gara e gli organizzatori hanno però una colpa condivisa in questo frangente, ossia la mancanza della ghiaia. Nel corso degli ultimi mesi molti hanno richiesto a gran voce il ritorno della ghiaia nelle parti adiacenti alla pista, ma i piloti hanno sempre rifiutato quest’opzione perché con l’asfalto si può tranquillamente sbagliare senza danneggiare la monoposto o la gara. Troppi interessi per trovare una soluzione. Quello che bisogna comprendere dopo il weekend nero del Belgio è che non si potrà mai evitare completamente una simile tragedia, specialmente se campionato dopo campionato si punta ad avere delle monoposto sempre più veloci e sempre più performanti. Più si vuole rendere spettacolare l’evento, maggiori sono i rischi. Si possono ridurre al minimo le possibilità di incidenti, ma mai eliminarle.

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