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Ha il nome di una montagna alpina, di quelle divise a metà tra l’Italia e l’Austria. Invece, il Blockhaus – a dispetto della pronuncia – si trova nel cuore dell’Appennino, in Abruzzo. Quel toponimo straniante risale al tempo dei briganti e delle loro scorribande, con i bersaglieri che cercavano, come potevano, di limitarle. Qui, le forze del Regno d’Italia avevano i loro fortini e qualche loro capo, d’origine austriaca, si divertì a ricordare quelle sue, di montagne, usando la sua lingua natia per definire l’alloggio in cui si trovava di stanza: Blockhaus, appunto.
Nel complesso, venti chilometri di salita, strada ampia, ma pendenze che non perdonano. La regolarità è approssimata verso l’eccesso: il 9% di media accompagna le pedalate dei corridori e, a volte, si trasforma anche in 10%. Quel grado di crudeltà in più che solo il ciclismo più cinico sa regalare. Il Giro 100 l’affronterà domenica 14 maggio, nona fatica della corsa, nella tappa che partirà da Montenero di Bisaccia.
Una montagna nel cuore dell’Italia, ma dall’animo straniero. Non soltanto nel suo nome. Il Giro d’Italia la scoprì nel 1967. Non fu l’unica cosa nuova che il mondo conobbe, quel giorno. Prima d’allora, il ventunenne Eddie Merckx aveva vinto “solo” due Milano-Sanremo e tutti lo indicavano come un forte velocista dalle belle speranze, adatto – al massimo – alle grandi classiche di un giorno, magari quelle disputate nel suo Belgio. Il Cannibale, su queste rampe, si svelò al mondo per quello che era: un campione che non fa distinzione di terreno, quando si tratta di vincere.
Quella del Blockhaus fu la prima vittoria di Merckx al Giro d’Italia. I giornali sportivi del giorno dopo, che attendevano a braccia aperte le braccia alzate di gente come Jaques Anquetil, Felice Gimondi, Vittorio Adorni o, al massimo, il padrone di casa e avezzanese Vito Taccone, quasi con un pizzico di piccata insoddisfazione titolarono: “Un velocista vince sul Blockhaus”. E noi non possiamo far altro che registrare l’errore madornale, specchiandoci in una bella quantità di senno del poi.
Negli anni successivi, la montagna fu percorsa per altre cinque volte, anche da versanti differenti o con arrivi abbassati a causa del maltempo. L’albo d’oro delle sue pietre ricorda i nomi di Franco Bitossi, Juan Manuel Fuente, Moreno Argentin, Ivan Basso e Franco Pellizzotti. Ma per sempre, come in una sorta di investitura, la montagna sarà legata al suo primo conquistatore. E per una sorta di proprietà transitiva, il suo primo conquistatore, al suo primo successo alla Corsa Rosa, se la ricorderà per sempre. Unica nell’incalcolabile numero delle sue vittorie.