Ciclismo

Giro d’Italia 2022, episodio 18: arriva la fuga a Treviso e De Bondt realizza il sogno della sua vita

Trofeo Giro d'Italia (foto Twitter)

Joao Almeida è uno di quei corridori che fanno bene al cuore. Uomo da corse a tappe abbastanza atipico: forte cronoman, buono scalatore, mediocre discesista. È un ciclista che, lungo le dure rampe delle grandi salite, molto spesso è il primo a staccarsi ma l’ultimo a mollare, complice quella sua proverbiale verve che fa di lui un cagnaccio che difficilmente va in crisi. 

Joao Almeida, infatti, è uno dei pochi corridori che, seppur giovani di età (23 anni per lui), hanno un controllo del proprio corpo invidiabile. Lui non forza quasi mai, va su del suo passo, non risponde agli scatti e non va nel panico quando vede le sagome degli scalatori farsi sempre più piccole.

Joao Almeida, all’alba della diciottesima tappa del Giro d’Italia 2022, la Borgo Valsugana-Treviso di 152 km, era quarto in classifica generale a 1’54” dal leader e a soli 49″ dal podio, ed ha dimostrato ampiamente che le strade della Corsa Rosa, può domarle in ogni momento, grazie alla sua calma, virtù dei forti. E Joao Almeida, portoghese, è forte.

È forte contro tutto e tutti, ma purtroppo ancora non può niente contro il Covid-19, che, proprio pochi istanti prima della partenza, lo ha fermato. Il test a cui è stato sottoposto ha dato esito positivo e nonostante lui sprizzi salute da tutti i pori, non ha potuto proseguire il proprio Giro, da leader della classifica riservata ai giovani e outsider di lusso per la vittoria finale.

Joao Almeida non si è lasciato abbattere ed ha dichiarato: “Spero che la buona sorte, prima o poi, mi ripaghi. Tornerò al Giro sicuramente, forse già dall’anno prossimo per provare a vincerlo”. Parole forti, decise ma anche malinconiche, perché Joao Almeida merita tutto il bene di questo mondo, sperando che anche il destino se ne accorga e lo porti in trionfo.

LE CLASSIFICHE AGGIORNATE

Dries De Bondt invece è un corridore che non ha mai chiesto nulla. Timido, abbastanza riservato, ma sempre al lavoro per i suoi capitani: prima Merlier, poi Van Der Poel e ancora Jakobsen. È uno di quelli che spianano la strada in gruppo e portano il velocista nelle condizioni migliori per fare la volata. È il classico ultimo uomo, ruolo che nel ciclismo degli anni 2000 ha assunto una valenza a dir poco fondamentale.

Dries De Bondt però, ha rischiato di non fare più il ciclista, o meglio, ha rischiato di non poter andare più in bicicletta nemmeno per hobby, o meglio ancora, ha rischiato di restare un vegetale per tutta la vita.

Perché Dries De Bondt, nel 2014 al Tour de Vendéedel, una delle ultime gare in calendario, ha perso il controllo della bicicletta dopo che la ruota posteriore è scoppiata in discesa ed è stato catapultato addosso ad una casa. Il casco gli ha salvato la vita quel giorno ma ha riportato due fratture alla base del cranio.

Poi, il destino, il miracolo o chissà…

Vicino al luogo dell’incidente c’era un campo di calcio, dov’è potuto atterrare l’elisoccorso, che lo ha portato all’ospedale di Nantes, attrezzato per situazioni così grandi, con la vita appesa ad un filo a causa di un grosso ematoma nel cervello, molto pericoloso. I medici sono stati eloquenti con i suoi genitori elencandogli le tre opzioni per il futuro: un pieno recupero, una vita con disabilità o uno stato vegetativo, con la prima delle opzioni abbastanza remota.

Il miracolo però si è compiuto e dopo 13 giorni di coma e 13 chili persi, dopo aver nuovamente imparato a deglutire e camminare, Dries torna, prima sui rulli e a novembre in ritiro con la sua nuova squadra, la Veranda’s Willems.

Dopodiché numerose squadre piccole belghe finché, nel 2020 arriva la grande occasione che aspettava da una vita: la chiamata di una grande squadra come la Alpecin-Fenix. Dries ripaga subito la fiducia dei connazionali e nello stesso anno conquista il titolo belga, la più grande affermazione della sua carriera fino ad oggi.

Perché oggi Dries De Bondt, in fuga con altri 3, Edoardo Affini, Magnus Cort Nielsen e Davide Gabburo, in rigoroso ordine d’arrivo, mette tutti in riga sul traguardo di Treviso, anticipando il gruppo, portando a quota 4 gli anni consecutivi in cui arriva la fuga nell’ultima tappa pianeggiante in linea al Giro d’Italia e conquistando la vittoria più importante della sua carriera.

Sul traguardo ha lanciato un urlo di incredulità perché Dries ha sempre cercato di inseguire i propri sogni, diventando sempre più forte e oggi, il suo sogno, lo ha realizzato.

Domani si si giunge alla prima delle tre tappe decisive dell’ultimo weekend: la Marano Lagunare-Santuario di Castelmonte di 178 km. Tappa di media montagna con due colli di terza categoria nei primi 100 km che porteranno all’unico sconfinamento del Giro, in Slovenia. Qui partirà la tappa vera e propria e infatti, a 54 km dalla conclusione, si attaccherà quella che è forse la salita più dura di tutta la terza settimana: Kolovrat (10,3 km al 9,2%). È una salita che non concede respiro e sicuramente succederà qualcosa: è il punto migliore per attaccare e recuperare terreno o scavare ancor di più il solco con gli avversari. Al GPM si rientra in Italia e ci saranno 20 km di discesa tecnica e altri 15 di falsopiano, prima dell’ultima salita al Santuario di Castelmonte (7 km al 7,8%), ascesa dura ma non terribile.

Tre corridori in poco più di 1′ con la maglia rosa che è anche il più performante a cronometro: in altre parole, mi aspetto attacchi per tentare di scardinare la resistenza di Carapaz e della INEOS. Mancano 3 giorni: ora o mai più!

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