Editoriali

Coronavirus: l’Italia si ferma, ma la Serie A va avanti a porte chiuse ed è giusto così

Juventus Stadium - Foto Antonio Fraioli

Il Paese si ferma, la Serie A no. Mentre l’Italia fa i conti con l’emergenza coronavirus, e lo sport in generale si adegua, nelle zone focolaio del virus e non, anche per un discorso di uniformità, il massimo campionato di calcio fa eccezione e segue la strada del cinico “the show must go on”. La richiesta della Figc di far giocare a porte chiuse le partite casalinghe delle squadre delle regioni interessate dal propagarsi del Covid-19 è stata accolta dal Governo nella serata di lunedì e improvvisamente quella che era soltanto una delle tante proposte del mucchio è diventata la strada da seguire. La strada giusta, per diversi motivi.

SENSO DI NORMALITA’ – Arrigo Sacchi ha racchiuso con una semplice frase il sentimento degli italiani nei confronti del calcio, che per l’allenatore romagnolo si potrebbe definire come “la cosa più importante tra le cose non importanti”. Per milioni di italiani l’appuntamento nel weekend con le partite è quasi un rito da rinnovare in maniera ciclica, e già nei comuni weekend di pausa per le nazionali o per le festività i tifosi storcono il naso e si sentono privati di qualcosa. Non fermare la Serie A, anche in una situazione di oggettiva difficoltà, è il miglior modo per regalare quel piccolo senso di normalità a un intero paese che giorno dopo giorno rischia di cadere sempre più nell’incubo.

IN NOME DELLA REGOLARITA’ – In aggiunta a questo, intervengono anche le logiche più fredde e spietate legate alla regolarità dello stesso campionato. Il calendario è fitto, rinviare i match alla lunga avrebbe portato all’impossibilità di recuperare le partite, anche in virtù degli Europei che mettono il fiato sul collo alle singole federazioni. Inter-Sampdoria è già di difficile collocazione nel calendario e in questo momento era praticamente impossibile rinviare un’ulteriore partita dei nerazzurri senza rischiare di compromettere un’intera annata di Serie A, e in generale continui spostamenti di match nel calendario non avrebbero garantito al campionato la regolarità richiesta a questi livelli, anche in un momento di emergenza come quello che sta colpendo il Bel Paese. Il sacrificio, a questo punto, è richiesto ai tifosi, che già nel turno imminente di Serie A in cinque o sei città nel weekend dovranno rinunciare ad andare allo stadio, e probabilmente si andrà avanti per un altro lasso di tempo (per esempio, Juventus a porte chiuse contro Inter e Milan nel giro di tre giorni e forse anche nel ritorno di Champions col Lione).

COMPROMESSI E SACRIFICI – Tra un supermercato svuotato e l’immancabile allarmismo in tv il massimo campionato decide di continuare, anche se questo vuol dire, per esempio, veder giocare a porte chiuse il big match scudetto tra Juventus e Inter, oppure di rassegnarsi all’assenza del pubblico in Udinese-Fiorentina, che per uno strano scherzo del destino capita nella data più vicina possibile a quella del tragico 4 marzo 2019 in cui, proprio alla vigilia della sfida tra friulani e viola, ci lasciò improvvisamente Davide Astori. La Serie A non sminuisce l’allarme coronavirus, e al contempo non ridimensiona il derby d’Italia o dimentica il dramma di Astori: va però avanti, dritto per la propria strada, sia per necessità – è chiaro – che, per dare idealmente un piccolo cenno di normalità in piena psicosi collettiva.

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