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‘Nero su Rosso’ è una storia da film. Sportiva, finanziaria e umana. Non è soltanto la vicenda del Milan venduto da Silvio Berlusconi ai cinesi, è molto di più. È il percoso umano e professionale dell’autore, Pasquale Campopiano, tra adrenalina e panico, tra followers sognanti e una marea di insulti. Proprio per questo, il libro è dettagliato ma scorrevole, tecnico ma avvincente. La bellezza di #nerosurosso (ed. Ultra Sport, 340 pagine) è l’uomo dietro al giornalista, le sue paure e la sua ambizione. L’argomento, decisamente delicato da trattare, rischiava di appesantire il lettore, che invece si ritrova a leggere pagina dopo pagina a ritmo indiavolato nemmeno fosse ‘Open’ di Andre Agassi. Ma il vero punto di forza del libro è la capacità di risultare interessante sia per chi non ha minimamente seguito l’incredibile avventura di Yonghong Li e Fininvest, sia per quelli che invece avevano già letto tutti gli articoli dell’autore per oltre un anno. Pasquale Campopiano si è raccontato a Sportface.it in questa lunga intervista durante la quale, a cuore aperto, parla degli infiniti mesi vissuti in un vortice di emozioni contrastanti.
Quando nasce, durante la lunga trattativa tra i cinesi e Berlusconi, l’idea del libro?
“L’idea del libro nasce un anno fa, subito dopo l’ennesimo rinvio per la firma del preliminare. Ero in viaggio verso Milano per fare il provino per la trasmissione televisiva ‘Futbol’ e, parlando con la mia compagna di allora, si pensò anche a un possibile titolo. ‘Se i cinesi comprano il Milan scriverò un libro e lo chiamerò Nero su Rosso’ esclamai. Lanciai subito l’hashtag #nerosurosso e Andrea Scanzi, che mi scelse per Futbol, racconta questo episodio nella postfazione. Durante la trattativa ho sempre avuto, grazie alle mie fonti, una posizione privilegiata. Venivo a conoscenza di fatti che altri colleghi non potevano sapere. Stavo iniziando a raccontare la storia della cessione del Milan, non della Cavese, ed ero già finito in un imbuto che pareva, giorno dopo giorno, diventare infinito. Quando scoprii che Sal Galatioto si faceva tradurre i miei articoli dai suoi assistenti a New York presi la decisione definitiva: scriverne un libro”.
Una trattativa lunga e stressante, che in alcuni momenti è sembrata sull’orlo del burrone. Qual è stato il momento più difficile per te?
“La parola corretta per definire i miei sentimenti è certamente ‘panico’. Il momento più difficile è stato il 28 febbraio, quando sembrava che tutta la trattativa fosse saltata definitivamente. Ero qui al Bar Orange, dietro casa mia, a prendere il caffè e, quasi di sfuggita, mi ritrovai a leggere una notizia flash di Dagospia: ‘I cinesi non hanno trovato i soldi per il closing’. Era tutto pronto, i giornalisti asiatici erano già partiti per Milano e la firma pareva cosa fatta. Auro Palomba, che curava la comunicazione per la parte cinese, mi aveva anche parlato del programma dettagliato della giornata, tra conferenze stampa e altri eventi collaterali. Subito dopo la flash di Dagospia arrivarono anche Il Sole 24 ore e Cacio e Finanza a supportare la tesi. Da quel momento, sino alle ore 19, mi saranno arrivate 200 telefonate. Mi chiamavano tifosi, colleghi, tutti. Il problema è che le mie fonti erano sparite, così come Fassone e Palomba”.
E cosa hai fatto?
“Sono tornato a casa e ho iniziato una diretta sui Social Network. L’attesa era incredibile e in pochi istanti mi sono ritrovato a parlare, senza avere notizie fresche, a 15-20 mila persone. È stato il momento più duro perché non avevo altro da dire se non ‘Non so cosa dirvi’. Gli insulti si sprecavano, per molti avevo perso credibilità. La mia famiglia e gli amici mi consigliavano di mollare tutto, ma ho deciso di mantenere la posizione riguardo alla trattativa dopo un messaggio che recitava ‘Salta il closing, ma si avanti a trattare finché non ci sarà la parola fine’. In quel momento dovevo decidere se fidarmi o meno della mia fonte. Per fortuna ho deciso di continuare a credere”.
Nel libro racconti al meglio il momento in cui ti crolla il mondo addosso.
“Il giorno prima avevo 10.000 persone accanto a me, 24 ore dopo ne rimanevano forse una decina. In più la mia compagna di allora se n’era andata lasciandomi solo. È stato un momento tremendo”.
Sensazioni del tutto opposte al momento del closing.
“Il momento del closing, come racconto nel libro, è stato quasi comico. Sono entrato in un taxi a Milano e l’autista, ancor prima di salutarmi, mi ha accolto con ‘lo sa che hanno venduto il Milan?’ Tutta questa storia è stata un film e va considerato che, per ovvi motivi, nel libro c’è circa il 60% di ciò che è accaduto. Dal punto di visto umano ero felice come un bambino, mentre giornalisticamente mi sono sentito sollevato, come se un peso da 4 quintali si fosse improvvisamente dileguato dalle mie spalle. È stato un vortice di emozioni, anche perché durante tutta la vicenda, per quanto io seguissi la mia linea e ascoltassi le mie fonti, ho avuto tantissimi dubbi, anche più di Cristiano Ruiu, re degli scettici. Quel messaggio ricevuto che recitava ‘è fatta’ è stata una liberazione, un momento indimenticabile”.
Sal Galatioto, l’advisor che ha trattato a lunga la cessione del Milan e che successivamente ne è uscito, è divenuto per te un punto di riferimento. Vi sentite ancora?
“Temevo tantissimo Sal Galatioto. Quello che per molti era ‘lo zio d’America’ per me era invece ‘lo squalo d’America’. Invece ho scoperto in seguito che era il classico squalo diventato umano dopo una lunga e pesante malattia. Una persona che aveva visto la morte in faccia ed era cambiata totalmente, diventando un personaggio splendido. Quando mi chiamò la prima volta ero bloccato, sudavo, ho subito pensato ‘Oddio, che avrò fatto?!’. E invece si è rivelato una bravissima persona”.
Una telefonata che ricordi ancora nei dettagli?
“Ho visto squillare il telefono e il numero aveva il prefisso americano. ‘Pasquale? Pasquale?’ All’inizio non riuscivo a tenere il telefono in mano, sbiascicavo parole a caso in inglese, nonostante io conosca bene la lingua. Mi chiamò per conoscere chi vi fosse dietro alla firma che aveva raccontato la storia della cessione del Milan. Il tutto avvenne ovviamente dopo che si ritrovò fuori dalla trattativa. Oggi sento ancora spesso Sal Galatioto, parliamo di tante questioni, sportive e non. Lui non può parlare di Milan, ma stiamo cercando di capire insieme le situazioni legate alle possibili cessioni di Roma e Fiorentina”.
Sei già pronto a una nuova avventura e, magari, a un nuovo libro?
“Si, sono pronto, inizierei domani, l’adrenalina è tutto per un giornalista. Magari sarà #giallosurosso, #nerosuviola o un’altra incredibile storia. Il futuro? Tra qualche settimana potrebbero esserci novità lavorative importanti, ma per il momento non mi sbilancio”.
Il rapporto con Marco Fassone?
“Il rapporto con Fassone è stato diverso, anche se non è mai mancata una grande stima reciproca. Inizialmente Fassone avrebbe dovuto svolgere il ruolo di direttore generale, con Nicholas Gancikoff AD e Massimiliano Mirabelli nella posizione di direttore sportivo. Quando Gancikoff e Galatioto ‘saltarono’, Yonghong Li prese in mano la situazione ma intuì che fosse meglio lasciare il management appena selezionato, promuovendo Marco Fassone al doppio ruolo di AD e DG. Nei giorni del closing Fassone era in contatto con tutti i giornalisti, senza mai negarsi a qualcuno. Io, però, avevo un canale privilegiato. La mia risorsa principale è sempre stata Julius Vanden Borre, nome in codice della mia fonte, da cui tutto è nato e si è sviluppato”.
Perché?
“Sapevo cose che altri non sapevano e, quindi, potevo chiedere a Fassone dettagli su questioni che il futuro AD del Milan non avrebbe rivelato”.
Anche perché i cinesi non sembrano essere grandi comunicatori. Che idea ti sei fatto su queste figure che guidano Milan e Inter?
“Bisogna partire dal presupposto che i cinesi non parlano, non comunicano, lavorano in silenzio. Anche all’Inter la comunicazione è affidata ad Ausilio e Sabatini, non certamente a Zhang. Il Milan e l’Inter sono asset strategici, rappresentano un’apertura verso il mercato europeo; sono, sostanzialmente, un veicolo per fare soldi. Le due società verranno quotate in borsa, avranno probabilmente in futuro stadi nuovi e altri canali di business. Se rivenderanno? Può darsi, ma sicuramente a un prezzo maggiore rispetto a quello d’acquisto”.
Ritieni che dietro a Yonghong Li ci siano altre aziende? Ne sapremo di più nel prossimo futuro?
“Io sono assolutamente convinto che dietro a Yonghong Li ci siano altre persone e diverse aziende; ritengo quasi impossibile che non sia così. La conglomerata pronta a investire nel Milan e che racchiudeva diverse figure si è modificata più volte nel corso del tempo. Nella lista di Gancikoff e Galatioto c’era Li, in una posizione però dormiente, ed era presente Sonny Wu. Si è parlato di Robin Li, di Jack Ma, tra gli imprenditori più ricchi della Cina, oppure di Huarong. Non sappiamo, e probabilmente mai sapremo, quali e quanti si siano sfilati e chi invece è ancora nel progetto in maniera dormiente ma interessata. Trovo impensabile che ci sia solamente Yonghong Li dietro all’acquisto del Milan. Se fosse vero sarebbe davvero un All-In su un tavolo di poker. Allo stesso modo penso che potremmo non scoprire mai chi ci sia dietro”.
Huarong potrebbe quindi essere ancora alle spalle di Li?
“Huarong non me lo sono inventato, ho visto dei documenti ufficiali… Huarong è Elliott (fondo americano che ha elargito il prestito a Li; ndr) al cubo, vale 5-6 volte Suning, è una potenza economica e finanziaria impressionante. Basterebbe Huarong per stare tranquilli…”.
Passiamo al calciomercato. Ti sei fatto un’idea di quello che avverrà e del perché Fassone e Mirabelli abbiano rallentato dopo tutti quegli acquisti in poche settimane?
“Il Milan ha dovuto rallentare sul mercato per un motivo molto semplice: dopo i primi 10 acquisti qualsiasi società era pronta a chiedere la luna per un proprio giocatore. Il fatto è curioso, perché da una parte tutti dichiarano che la situazione economica del Milan non sia solida ma poi, a tavolino, tutti chiedono 100 milioni. Ritengo quindi che Fassone e Mirabelli chiuderanno le prossime operazioni verso la fine della finestra di mercato”.
Te la senti di sbilanciarti e fare qualche nome?
“Difficile da dire. Senza pensare al discorso economico, è chiaro che per il progetto Milan il nome su cui puntare sarebbe quello di Andrea Belotti, giovane che spacca letteralmente le porte. Allo stesso tempo Nikola Kalinic sembra essere perfetto per un allenatore come Montella”.
Nel libro si fa riferimento al momento in cui è uscita la notizia di una cordata Galliani-Mendes pronta a comprare il Milan. Dopo mesi Mendes è comunque vicinissimo ai rossoneri e a Marco Fassone. Un semplice caso?
“Me lo sono chiesto spesso anche io. Se iniziassimo un discorso dietrologo potremmo non finire più. Pochi sanno ad esempio che Fassone, prima di diventare AD del Milan, sembrava molto vicino a Infront. Di certo la questione Mendes fa riflettere e anche io mi sono posto tante domande senza risposta. Mi attengo ai fatti: dieci acquisti, un attaccante in arrivo e grande positività”.
Tornando al libro e alla tua vita. Come è cambiata da un anno a questa parte?
“È cambiato tutto, totalmente. Ho lottato dieci anni nel fango del giornalismo e oggi ho trovato, credo con merito, una buona notorietà. È ovvio che ci voglia anche un po’ di fortuna, perché sono venuto a conoscenza di questa storia per caso mentre giocavo a Pes con gli amici. Ma credo di essere stato bravo a portarla avanti, senza mai arretrare di un passo, lottando contro gli insulti, l’invidia, i giochi di potere. In 14 mesi, nei miei profili Facebook e Twitter, sono transitate 162 milioni di persone. Come tutta la popolazione di Germania, Italia e Grecia…”.
Non possiamo chiudere senza parlare della tua fonte primaria, che hai rinominato Julius Vanden Borre.
“Julius Vanden Borre è un mito assoluto. La sua figura è bellissima e il nostro rapporto è veramente così come si evince dal libro, compresi gli insulti… Anche lui si è tolto un gran bel peso alla fine ed è diventato un idolo dei tifosi rossoneri. Anche se mi prende sempre in giro dicendomi: ‘Sarò anche un mito, ma nessuno sa chi diavolo io sia…’.