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Gian Piero Ventura, il normalizzatore che non rinuncia alla buonuscita

Gian Piero Ventura
Gian Piero Ventura - Foto Nazionale Calcio CC BY 2.0

“Perdere con la Spagna è normale, arrivare secondi nel girone è stato messo in preventivo”. Gian Piero Ventura lo ha detto più volte, negli scorsi mesi e soprattutto negli ultimi giorni, un mantra che ha ripetuto agli addetti ai lavori e probabilmente a se stesso, per convincersi che tutto stava procedendo senza intoppi sulla strada che avrebbe dovuto condurre l’Italia al Mondiale. E invece, nel disastro azzurro della notte di San Siro, arriva anche la beffa all’italiana: Ventura, per il momento, non si dimette, in attesa di una buonuscita che può far sbloccare la situazione.

UN PROBLEMA DI MENTALITA’ – Dopo la sconfitta contro gli iberici, frutto di un controsenso tattico (il 4-2-4 al Bernabeu e la difesa a cinque a Solna), Ventura giustificò così la debacle: “Abbiamo perso con la Spagna, e mi dispiace, ha perso anche l’Under 21, la Juventus. E la Roma ha sofferto tantissimo”. E poi, qualche giorno dopo: “Si sapeva che saremmo andati ai playoff: lo dicevano tutti già quando è uscito il calendario. L’eccezione sarebbe stato vincere in Spagna”. Il solito discorso, ribadito in ogni conferenza: la sconfitta con le Furie Rosse è quasi scontata, il secondo posto nel girone l’obiettivo concreto. Un ragionamento che calzerebbe se non fossimo l’Italia, se non avessimo vinto quattro Mondiali e se non avessimo strapazzato la Spagna appena un anno fa, negli ottavi di finale degli Europei, con Antonio Conte in panchina e una formazione certo non superiore all’attuale. Ai playoff ci siamo andati, ma con la mentalità sbagliata: giocati come se fossimo noi l’outsider, piuttosto che con la consapevolezza di trovarsi agli spareggi quasi per caso o per errore, vogliosi di vincere e convincere, consci che gli azzurri, in altre circostanze, si sarebbero già qualificati con tutt’altra tempistica.

VENTURA IL NORMALIZZATORE – Chiamatelo il normalizzatore, altro che mister Libidine, mentre Mourinho, lo Special One, lo scrutava quasi con compassione dalle tribune della Friends Arena venerdì. Un uomo divorato all’interno dalla paura, convinto già in partenza di non poter tener testa a una Spagna forte, è vero, ma di certo non imbattibile. Un ct che ha ridimensionato orizzonti e ambizioni di questa Nazionale, rendendo fragili e svogliati anche i giocatori più importanti della rosa, dimostrandosi non all’altezza di una panchina così importante e delicata. Panchina che adesso, dopo aver raggiunto il punto più basso della storia azzurra, non sembra aver la minima intenzione di abbandonare: non si rinuncia a quasi un milione di euro di stipendio – il contratto scade a luglio 2018 – per una clamorosa (o, in fin dei conti, normale e preventivabile, come probabilmente la definirebbe il ct) non partecipazione a Russia 2018. Il rinnovo fino al 2020 è unilateralmente annullato in seguito all’eliminazione, ma le mancate dimissioni pesano come un macigno sull’immagine già abbastanza deteriorata di Gian Piero Ventura.

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