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NBA, rush finale OKC: George e Westbrook manterranno la pressione?

Archiviando ogni tipo di “formalità” inerente l’All-Star Weekend, l’NBA torna in campo la notte del 22, per dare via a quest’ultimo terzo di stagione. Se c’è una franchigia NBA che desidera che la pausa dell’All-Star Game passi in fretta è sicuramente quella degli Oklahoma City Thunder (in campo il 23 notte alla Chesapeake Energy Arena contro gli Utah Jazz), che risulta essere la miglior squadra del momento: le undici vittorie nelle ultime dodici uscite ne sono una valida dimostrazione.

L’analisi di questa dimostrazione non può non partire dai principali due leaders di questo team. Russell Westbrook è nel mezzo di una storica corsa verso la tripla-doppia. La squadra, che non è riuscita a tirare bene da tre punti per tutto il primo mese della stagione, ora non può più farne a meno. I Thunder (37-20) si sono fortemente inseriti nella lotta per il secondo e il terzo seed della Western Conference: sono solo due le partite di gap tra loro e i Nuggets attualmente secondi (39-18).

Il più grande miglioramento recente, tuttavia, è quello di Paul George, che sta giocando la miglior pallacanestro della sua vita: trasformato da un fidato aiutante alla versione MVP di Kevin Durant della stagione 2013/2014. E non è affatto un’esagerazione: Durant ha fatto registrare 40.8 punti, 9.4 rimbalzi e 7 assist su 100 possessi con una percentuale di true shooting del 63.5 durante la stagione da MVP. Dal 17 Gennaio di quest’anno, George ha fatto registrare 41.9 punti, 9.3 rimbalzi e 5.8 assist su 100 possessi con il 67.9% di true shooting, mostrando un miglior rapporto assist/palle perse e migliori numeri per rubate rispetto alle statistiche di Durant nel 2013/2014: non dimentichiamoci che Paul George è in cima alla classifica delle “steals” in questa regular season, marciando con 2.3 rubate a partita.

Ovviamente c’è un’enorme differenza tra giocare come ha fatto George nell’ultimo mese e farlo per un’intera stagione. Tuttavia, la sua trasformazione potrebbe essere significativa per una ragione chiave: è definitivamente ciò che più si avvicina al cambio della guardia dei Thunder da quando Westbrook ha preso il comando dopo la partenza di Durant.

Per anni, gli haters di Westbrook hanno suggerito che avrebbe dato alle sue squadre migliori possibilità di vittoria facendo un passo indietro. Spesso e volentieri (anzi, diciamo sempre) ha ignorato queste voci e, una volta che ha avuto i riflettori su sé stesso battendo il record NBA per il più alto tasso di utilizzo in una sola stagione e al contempo registrando una tripla doppia di media per un’intera stagione, ha deciso di giocatore più altruisticamente. Il numero zero ha terminato la sua ultima stagione da primo violino al sesto seed ad Ovest, venendo poi eliminato al primo turno dei playoff dai Rockets (4-1).

Adesso il vento sembra essere cambiato: nel mezzo della peggiore stagione al tiro della sua carriera, il trentenne Westbrook (da ribadire, perché non ha più la giovane spensieratezza per permettersi ciò che si è permesso negli ultimi anni) ha allentato il piede dall’acceleratore durante i miglioramenti della squadra: ha preso 19.4 tiri a partita in questa stagione, il dato più basso dalla stagione 2015/2016 (casualmente, l’ultima stagione di Durant, terminata con la gara 7 contro i Warriors alle Finali di Conference). Durante questa striscia di 12 partite dei Thunder, Westbrook ha tentato solo 17 tiri a notte: prima del filotto di vittorie, stava prendendo un po’ più di 20 tiri a partita.

Westbrook ha ancora un considerevole valore: continua a essere una forza quando piega le difese, concludendo a canestro nel modo più efficiente che mai. Lunedì scorso ha fatto registrare la sua decima tripla-doppia consecutiva, che gli è valso il primato di triple-doppie consecutive della storia della NBA. Se mantenesse il ritmo attuale, questa sarebbe la terza stagione consecutiva di Westbrook con una tripla-doppia di media. Ma non fraintendeteci: George guida questa squadra, ed è stato così per tutta la stagione.

Poiché Westbrook ha saltato l’inizio della stagione, a causa di una procedura artroscopica, George è stato spesso alla guida solitaria della franchigia all’inizio della regular season. Questa è stata una situazione di cui aveva raramente goduto la scorsa stagione, quando l’attacco generalmente vedeva George, Westbrook e Carmelo Anthony a turno tirare.

Di questo passo, un po’ sorprendentemente, George è già a sole dieci partite dal superare i tiri totali tentati nella scorsa stagione. La mappa di tiro in questa stagione sembra sostanzialmente la stessa dell’anno scorso, ma la chiarezza sul suo ruolo sembra aver aiutato immensamente il suo gioco. George, forse più a suo agio con Westbrook e la squadra di ora, sta giocando come se si rendesse conto che è generalmente una buona cosa per lui prendere il comando in attacco.

Quindi questo sforzo irreale di George è sufficiente a spingerlo in cima alla corsa per l’MVP? Un fattore a suo favore è essere un giocatore d’élite su entrambi i lati del campo. I Thunder si posizionano tra le prime 3 difese della lega, nonostante lo specialista difensivo Andre Roberson non abbia giocato neanche un minuto per tutta la stagione: in gran parte è merito di George, che è in testa al campionato come già menzionato nei recuperi, mentre si classifica al secondo posto nelle deviazioni.

Due i grossi ostacoli nella sua rincorsa verso l’MVP: da una parte Giannis Antetokounmpo, con una media di 27 punti, quasi 13 rimbalzi e 6 assist a partita, ha portato i Bucks al miglior record della NBA (43-14); dall’altra il rullo compressore di nome James Harden, visto spesso visto come soft in difesa, ha statistiche paragonabili a PG13, con 2.2 rubate per partita e 209 deviazioni. Per quanto riguarda il discorso punti del “Barba”, crediamo che tutti gli interessati sappiano il suo ammontare a riguardo.

Per quanto riguarda la corsa all’anello Golden State è ancora la grande favorita: i bookmakers, tuttavia, mostrano un considerevole rispetto per i Thunder, dando loro una probabilità dell’11% di vincere il campionato NBA (una cifra che non è lontana dai Raptors e dai Bucks, nonostante queste due squadre giochino) in una conference meno competitiva. Arrivare secondi o terzi ad Ovest vorrebbe dire, per gli uomini di Donovan, non incontrare i Warriors prima di una papabile Finale di Conference, ammesso e non concesso che Golden State rimanga al primo seed. Per Oklahoma la corsa a queste agognate finali non sarà comunque una “Stairway to heaven”, sia perché gli avversari sono agguerriti, sia perché, storicamente, ai Thunder ai playoff manca sempre un centesimo per raggiungere l’euro. Sono troppi anni che la squadra di squaglia come neve al sole con l’arrivo della post-season: quest’anno potrebbe non arrivare l’anello, ma si potrà (dovrà) comunque uscire a testa alta.

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