Amarcord

L’angolo del ricordo, David Thompson: senza di lui non esisterebbe Micheal Jordan

David Thompson
David Thompson

9 aprile 1978: David Thompson mette a segno 73 punti nella sconfitta dei suoi Nuggets per 139-137 contro i Pistons, registrando la quarta miglior prestazione ogni epoca a livello di punti. Un giocatore che soprattutto ai più giovani potrebbe dire poco, ma che è a tutti gli effetti l’ispiratore di Micheal Jordan. Il vero mentore di His Airness fu un atleta straordinario, capace di galleggiare in aria per un’eternità, come il soprannome che gli venne affibbiato, Skywalker, stava a simboleggiare efficacemente. Il suo nome non compare tra le statistiche più prominenti o imperiture, colpa anche di uno stile di vita sregolato che lo portò presto a lasciare il proscenio NBA.

Era dotato di un fisico adattissimo per giocare a basket: 193 cm per una novantina di chili. Dopo aver frequentato la locale High School, Thompson scelse la vicina North Carolina State University. Il primo anno condusse i propri compagni ad una stagione da imbattuti, 27-0, mostrando a tutto il paese le proprie abilità atletiche. Il meglio tuttavia doveva ancora venire. Nell’annata seguente NCSU disputò un’altra incredibile stagione, chiusa sul 30-1, ma fu nel Torneo NCAA che i Wolfpack regalarono una gioia unica ai propri sostenitori. Guidati da Thompson, si sbarazzarono di tutte le rivali, giungendo sino alle Final Four. Nella semifinale, ecco una delle più grandi imprese della storia del college basket: 80-77 il punteggio finale e UCLA a casa, dopo aver vinto i 7 titoli precedenti. C’era voluto lo Skywalker per porre fine all’impero costruito da John Wooden, con il tiro della vittoria al termine del secondo overtime. In Finale poi, ecco la gioia tanto attesa: Marquette sconfitta e North Carolina State e Thompson Campioni NCAA.

E’ un suo merito se oggi esiste l’alley-oop: fu proprio il numero 44 di NCSU il primo a mettere in atto questa pratica, ricevendo passaggi dei compagni ad altezze siderali. L’ironia della sorte stava nelle regole allora vigenti nel college basket: con la Alcindor Rule, infatti, la NCAA aveva abolito le schiacciate. Uno dei più grandi saltatori di sempre, colui che aveva depositato all’ufficio brevetti l’alley-oop, fu costretto nella sua carriera universitaria a limitarsi a semplici appoggi nel canestro. Consci delle potenzialità del giovanotto, sia gli Atlanta Hawks della NBA che i Virginia Squires della ABA lo selezionarono alla numero 1 dei corrispettivi Draft 1975. Lo Skywalker optò per i secondi, firmando poi per i Denver Nuggets in seguito a un’acquisizione di questi ultimi dei suoi diritti. L’impatto dell’ex Wolfpack fu immediato e devastante: 26 punti di media, Rookie of the Year, MVP dell’All Star Game e tante giocate spettacolari rimaste indelebili negli occhi di chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare.

Proprio nella parata delle stelle di metà stagione, Thompson ebbe uno dei momenti più alti della propria carriera. La location è proprio Denver, in quanto i Nuggets avevano il miglior record. La ABA, al solito in prima fila in materia di innovazioni, aveva deciso di sperimentare una nuova idea, che sarebbe piaciuta anche ai fratelli maggiori NBA. Quella sera, infatti, andò in scena la prima gara di schiacciate della storia. I protagonisti, e non poteva essere altrimenti, furono lo Skywalker e Julius Erving. David fu incredibile, sfoderando una delle prime cradle dunks in circolazione (poi riproposte dal marziano col numero 23, guarda caso), nonché un assurdo 360°, un pezzo inedito al tempo. Tutto questo non bastò a Thompson: Erving schiacciò dalla linea del tiro libero mandando in tilt il panorama cestistico e assicurandosi contestualmente la gara. La sfida tra i due grandi rivali e protagonisti continuò anche nelle seguenti Finals tra Denver ed i Nets. A colpi di quarantelli Thompson e Julius infiammarono i palazzetti ma fu il Dottore a ridere per ultimo, assicurandosi il titolo per 4-2. Quello fu l’ultimo vagito per la ABA: col conseguente merger le squadre più floride da un punto di vista economico sarebbero passate nella NBA.

Anche qui le attese non furono tradite: All-Star e 26 punti di media. In una gara contro Portland lo Skywalker schiacciò così violentemente sulla testa di Bill Walton da distruggere il tabellone. Il biennio successivo fu ricco di grandi successi e prestazioni straordinarie. Nell’annata 1977/1978 Thompson duellò sino all’ultima gara di regular season con George Gervin per il titolo di top scorer della Lega. Si torna qui all’inizio della storia: giocando per primo, nel pomeriggio, David si scatenò, segnando 32 punti in un quarto e 73 totali, solo il secondo giocatore di sempre a riuscirvi dopo l’inarrivabile Wilt Chamberlain. Terminato l’incontro, dopo il quale la propria media punti si era impennata sino a 27.2, si mise all’ascolto della radio per ascoltare la prestazione di Iceman. La star degli Spurs non deluse: 33 punti in un quarto, nuovo record NBA, 63 totali e primo posto nella classifica dei realizzatori. Già da molti minuti Thompson aveva cambiato stazione radiofonica.

I Nuggets comunque stentarono a decollare e anche lo stesso Thompson vide la sua fase calante iniziare: un terribile infortunio al calcagno che lo costrinse ai box durante la stagione 1979/1980. In più la droga aveva fatto il suo ingresso prepotente sul palcoscenico. Venne relegato in panca e costretto a tentare di porre un fino alla propria autodistruzione: la chance non venne colta e i Nuggets lo cedettero ai Seattle Supersonics nell’estate del 1982. L’11 marzo 1984, mentre si trovava in trasferta a New York, cadde dalle scale in un locale della Grande Mela. La diagnosi fu crudele: danni irreparabili a legamenti e cartilagine. I Sonics lo tagliarono. Infruttuoso fu un tentativo di tornare l’anno successivo in maglia Pacers: a soli 30 anni era fuori dalla Lega. Proprio quando a Chicago esordiva il futuro fenomeno della pallacanestro mondiale. Fu ostracizzato ma con grande forza di volontà riuscì a mettere da parte i propri demoni, sconfiggendo droghe ed alcol e disintossicandosi del tutto. Contemporaneamente, la sua maglia numero 33 veniva ritirata da Denver. Pochi anni più tardi, nel 1996, ecco l’ammissione nella Hall of Fame.

Intanto Thompson era rimasto nel cuore di Jordan. Terminata una carriera leggendaria, Micheal volle proprio lo Skywalker ad introdurlo nella Hall of Fame, nonostante fosse ormai un personaggio di secondo piano. E forse, nonostante i tanti trofei di epoca collegiale, fu questo il riconoscimento più prestigioso per Thompson, a compensare quanto perso per colpa di tendenze autolesionistiche e comportamenti non certo ineccepibili: è l’idolo del giocatore, probabilmente, più forte di tutti i tempi. Per esserlo, qualcosa di speciale deve pur aver fatto.

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