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Basket NBA, Trae Young (wild and free): alla scoperta del rookie di Atlanta

Trae Young, USA U18 - Foto "fiba.basketball"

I paragoni fra Trae Young (playmaker classe 1998 da Lubbock, Texas) e mostri sacri dell’universo NBA hanno cominciato a sprecarsi dopo una stagione in NCAA condita da 27.4 punti e 8.7 assist di media in 32 incontri giocati, in entrambi i casi miglior punteggio dell’intera Division I.

Nonostante i “suoi” Oklahoma Sooners non siano andati oltre il primo round del Midwest Regional (fermati da Rhode Island sul risultato di 83-78), la prima parte della stagione collegiale del ragazzo con la maglia numero 11 era stata così positiva da far pensare subito all’avvento di un nuovo baby-faced killer sul palcoscenico del basket made in USA.

Fra il 12 novembre 2017 e il 13 gennaio 2018 (data di un’impressionante performance contro la Texas Christian University in cui fa segnare di diritto il suo nome nella casella di MVP con 43 punti, 11 rimbalzi e 7 assist) i Sooners volano conquistando il record di 14-2 nella regular season, trascinati dal talento di Young. “At one point this season – si legge nella scheda redatta su di lui dal sito theringer.comhe looked like the greatest freshman guard ever, with dynamic, can’t-miss shooting ability from all over the floor”. In sintesi, una macchina da punti.

Gran sensibilità e precisione nel tiro da tre, controllo del corpo in elevazione, visione di gioco, abilità nella gestione del pallone con entrambe le mani e una buona tecnica nel pick-and-roll e nei floater. Questo è quello che dev’essere finito sui taccuini degli scout di mezza America nel veder giocare la point guard di Oklahoma lo scorso inverno.

Ma, come cantavano i Poison negli anni ’90, ogni rosa ha le sue spine. Considerare Trae Young come la seconda venuta sul parquet di Steph Curry o di Steve Nash (il giocatore NBA a cui egli stesso a dichiarato di ispirarsi maggiormente in un’intervista rilasciata al giornalista di The Athletic, Shams Charania) significa non tenere presenti i limiti di un giocatore potenzialmente fenomenale, ma ancora in via di sviluppo.

Limiti che sono emersi visibilmente nella parte finale della stagione NCAA, quando le difese avversarie hanno cominciato a prendere le misure al suo gioco e nella fase iniziale di questa stagione. Durante la “Utah Jazz Summer League”, dove per la prima volta ha vestito la casacca degli Hawks, l’impatto con la realtà dei “grandi” (seppure in un ambiente creato apposta per mettere in vetrina i nuovi astri nascenti) non è stato sicuramente dei migliori, con 21 triple sbagliate su 24, una percentuale di errore che sfiora il 90%.

Statistiche nettamente migliorate nella seconda fase della Summer League, quella svoltasi a Las Vegas, dove Young è riuscito a tornare sui suoi standard e a tenere una media di 17 punti e 6.8 assist a partita, con il 38.7% dall’arco e quasi 8 tentativi da tre a partita.

Le lacune più evidenti, però, il rookie di Atlanta le mostra in fase difensiva. Una struttura fisica non imponente (è alto 1.81 senza contare le scarpe e arriva a pesare intorno agli 80 chili) non lo aiuta di certo, soprattutto in un campionato come la NBA degli ultimi anni, in cui il mismatch si paga – ed anche caro. Se a questo aggiungiamo un’incostanza di fondo e una leggera indolenza dimostrata già negli anni del college, dove spesso e volentieri era dispensato in toto dalle mansioni difensive, si capisce come o gli Hawks investiranno seriamente su un corso accelerato di tecnica nella fase di non possesso o rischieranno spesso e volentieri di ritrovarsi con un uomo in meno sul campo.

Non appare certo, d’altronde, che Young sarà il play titolare della squadra. La partenza verso i Thunder del tedesco Dennis Schroder ha sì liberato un posto importante, ma l’acquisto da parte degli Hawks di un uomo d’esperienza come Jeremy Lin (sebbene reduce da solo 37 presenze nelle ultime due stagioni NBA) suona come un tentativo da parte della franchigia della Georgia di tutelarsi in quel ruolo.

“Young deve portare il suo gioco ad un altro livello, soprattutto dal punto di vista difensivo. Inoltre tende a voler strafare, è sempre sul filo della palla persa e non sembra essere un atleta di livello”, scrivevano negli States in un report su di lui al tempo della High School, nel 2016. Che il livello negli ultimi due anni si sia alzato (e molto), non c’è dubbio. Ma se con un po’ di lavoro ed applicazione in più il ragazzo riuscisse a raggiungere quel next level sopra citato, potremmo davvero vederne delle belle.

 

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