Amarcord

Addio a Gigi Simoni, uno degli ultimi baluardi del calcio di una volta

Gigi Simoni e Ronaldo, foto di pubblico dominio

Se ne va nel giorno più bello della storia dell’Inter, lui che in nerazzurro ha vissuto mesi intensi culminati in un bruciante secondo posto in campionato che fa ancora tanto discutere. Ci ha lasciato Gigi Simoni, tra gli allenatori più apprezzati dell’ultimo quarantennio, capace di scrivere pagine importanti in giro per l’Italia negli anni migliori della propria carriera: a 81 anni, a causa delle complicazioni di un ictus che lo colpì l’anno scorso, muore uno degli ultimi baluardi di quel “vecchio calcio di una volta” ormai soppiantato, volente o nolente, da altri protagonisti, altri paradigmi per raccontarlo, ma le stesse polemiche di allora.

IL SALTO DI QUALITA’ – La storia di Gigi Simoni non è legata soltanto all’Inter, anzi, è altrove che ha ottenuto successi in proporzione migliori nel corso di una lunga carriera in lungo e in largo per tutto lo stivale. Gli esordi al Genoa, allenato per ben otto stagioni in tre diverse esperienze. Due le promozioni dalla Serie B alla A sotto la guida dell’emiliano, che non bastano però per farsi notare: resterà a lungo un allenatore da serie cadetta, guidando il Pisa, l’Empoli, la Lazio in B, il Cosenza. All’inizio degli anni ’90, la svolta: il presidente della Cremonese, Domenico Luzzara, lo ingaggia del 1992 ed è subito promozione in Serie A al primo tentativo. Seguiranno due stagioni di alto livello dei grigiorossi nel massimo campionato, gli valgono nel 1996 la chiamata del Napoli di Ferlaino. I risultati alla guida degli azzurri sono alterni, ma non malvagi: il numero uno del club partenopeo, però, decide di dargli il benservito a poche partite dal termine del campionato, non dandogli la possibilità di guidare la squadra nella finale di Coppa Italia, persa poi dai campani contro il Vicenza. Simoni è però ormai un allenatore da grande squadra e Moratti si lascia affascinare.

COME DON CHISCIOTTE – Ma alla guida dei nerazzurri ha lasciato un segno importante. In primis, per i risultati sul campo: la vittoria della Coppa Uefa 1998, conquistata battendo in una finale tutta italiana la Lazio, per anni è stato l’ultimo sorriso europeo per i meneghini, prima dell’ultimo tassello del Triplete, la meravigliosa notte di Madrid in cui i nerazzurri alzavano al cielo la Champions League esattamente dieci anni fa. Non può essere una coincidenza. Ma di quell’anno o poco più del tecnico di Crevalcore sulla panchina dell’Inter è rimasto impresso il duello contro la Juventus, che per Simoni è diventato una personalissima lotta come quella di Don Chisciotte contro i mulini al vento. Quel 26 aprile 1998 ci mostrò per la prima volta un lato diverso della personalità di un allenatore gentiluomo: il contatto Ronaldo-Iuliano, il rigore non fischiato da Ceccherini, il capovolgimento di fronte e il rigore per i bianconeri. Soprattutto, la sconfitta nello scontro diretto che nega all’Inter e al suo allenatore la possibilità di tornare a vincere uno scudetto. Simoni entra in campo, il linguaggio del corpo è inequivocabile: nel calcio ne ha viste tante, ma non voleva crederci.

APPUNTAMENTO FISSO – Nei successivi vent’anni Simoni non ha perso occasione per ritornare su quell’episodio così eclatante, uno dei pezzi più pregiati della dialettica tra Inter e Juventus. Il tecnico emiliano, che negli ultimi anni ha allenato il Siena in Serie A venendo esonerato alla fine del girone di andata nel 2005, poi la Lucchese in Serie C, tornando per l’ultima volta in panchina per alcuni mesi alla guida del Gubbio in Serie B nel 2011, dopo la meritata pensione non ha smesso di rinvangare la madre di tutte le partite, imbeccato ad arte dai cronisti, ben consci della ferita che quel rigore non fischiato aveva provocato in un allenatore che faceva del lavoro sul campo il proprio cavallo di battaglia. E allora giù fiumi d’inchiostro ogni qual volta si avvicinava il derby d’Italia o l’anniversario di quella partita, Simoni che attacca la Vecchia Signora, l’arbitro Ceccherini, il sistema calcio. A volte in maniera ripetitiva, ma sempre con genuinità e amore per questo sport. E quelle interviste confezionate ad arte, siamo sicuri, ci mancheranno negli anni a seguire.

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