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Scherma, Irene Vecchi: “Dopo la qualificazione ho pianto, a Rio può succedere di tutto”

Irene Vecchi - Foto Federscherma

Subito dopo aver raggiunto la matematica qualificazione a Rio 2016 ho pianto per quindici minuti. Non ho mai più provato le emozioni vissute a Londra, le farfalle nello stomaco, la tensione, l’adrenalina. È un sogno che si avvera, per la seconda volta”. Irene Vecchi si racconta così in esclusiva a Sportface.it, mentre i suoi vivi e penetranti occhi, persi nel mare della sua Livorno, viaggiano incontrollati sino in Brasile, dove il sogno di una vita può diventare realtà. “E pensare che il mio rapporto con la scherma è iniziato in maniera traumatica – racconta – Mio fratello Giulio, di due anni più piccolo di me, era fissato con Zorro e con le spade. Ricordo che i miei genitori provarono a dissuaderlo quando aveva 3 anni, ma l’anno successivo furono costretti a portarlo in pedana. Durante i centri estivi portarono anche me: ero lì, bloccata sulla porta, terrorizzata, mentre Giulio continuava a ripetermi “non temere, non fa paura”. Entrai spaventata, ma uscii innamorata. Ancora oggi mio fratello mi ripete che tutta la mia carriera è merito suo…”. Nata a Livorno il 10 giugno 1989, specialità sciabola, Irene Vecchi vanta un oro a squadre ai campionati europei di Shieffield 2011, un bronzo mondiale individuale a Budapest 2013 e il sesto posto all’Olimpiade di Londra 2016.

A proposito di Londra 2012, che esperienza è stata?
“Londra 2012 è un ricordo indelebile, per me era un sogno che si realizzava. Ho avuto la fortuna di vivermi l’Olimpiade, dal villaggio sino alla gara, nel migliore dei modi, forse anche con l’incoscienza dell’esordio. Mi sentivo come una bambina che entra per la prima volta in un parco giochi, ogni cosa mi sembrava bellissima. Giravo in bici per il villaggio, incontravo campioni di altri sport, mangiavo a mensa accanto a sportivi che potevo vedere solamente in televisione. Non ho mai avuto pensieri negativi, ma sempre e solo positivi. La notte prima della gara ho dormito benissimo e mi sono alzata alle 9.30. Mentre andavamo al palazzetto ho chiesto al mio allenatore: ‘Oggi facciamo allenamento o gara?’. Lui mi ha risposto: ‘Irene ci sei? Sai dove siamo?’. Ero tranquillissima, ma quando hanno annunciato il mio nome per il primo assalto, contro un’inglese, con il pubblico contro, ebbene si, lì mi è mancato il fiato”.

E la gara?
“Il mio allenatore mi ha fatto tenere la maschera giù per tutta la giornata, così da impedirmi di vedere il palazzetto gremito in ogni ordine di posto. Ma la gara me la sono goduta davvero, ero arrivata a Londra all’apice della forma, senza tentennamenti, qualificandomi a discapito di atlete azzurre all’epoca più blasonate di me. Sono arrivata sino ai quarti di finale, quando l’ucraina Olga Kharlan mi ha sbarrato con merito la strada. Qualche rammarico c’è ma lei fu di un’altra categoria. Rimane uno dei momenti più bella della mia vita: in pedana, all’Olimpiade, con tutta la famiglia a vedermi. Semplicemente indescrivibile. Fu un sogno, una grande avventura, la medaglia non arrivò, ma adesso in Brasile ci riprovo”.

Torniamo indietro nel tempo. Quando la scherma ha smesso di essere un gioco ed è diventato qualcosa di più?
“In realtà è sempre stato un gioco per me, anche se, sotto sotto, sapevo che non lo era. Mi sono sempre impegnata, con grande testardaggine, rimanendo ad allenarsi ben oltre la fine della seduta. Volevo migliorarmi, lavorare, lottare. Non mi sono nemmeno accorta del passaggio da scherma come gioco a scherma come professione. Ma di sicuro i primi anni rimangono nel mio cuore, ho stretto tante amicizie e raccolto le prime grandi soddisfazioni. La scherma ha smesso di essere un gioco ufficialmente quando sono entrata a far parte delle Fiamme Gialle, il gruppo sportivo della Finanza, che ringrazio tutti i giorni per avermi dato questa straordinaria possibilità”.

E tuo fratello Giulio ha proseguito con la scherma o ha cambiato vita?
“Giulio è stato campione italiani tra i cadetti, ma a un certo punto lo studio ha preso il sopravvento. Oggi lavora, ma ogni tanto prende la divisa e arriva in palestra alla Fides Livorno, perché la scherma non puoi lasciarla del tutto, ha un richiamo a cui è impossibile dire di no”.

Arriviamo all’argomento Rio 2016…
“Quest’ultima qualificazione olimpica è stata molto più sofferta rispetto a Londra. Nell’ultima stagione ho avuto un calo fisiologico e, per la prima volta dopo otto anni, sono uscita dalla Top-16 mondiale. Ma nonostante tutto arrivare all’ultima gara a squadre, sentirti dire ‘ce l’abbiamo fatta’, è stata una liberazione, tanto è vero che ho pianto quindici minuti di fila. È un sogno che si realizza per la seconda volta”.

Mancano meno di quattro mesi. Come prosegue la marcia di avvicinamento alla seconda Olimpiade della carriera? Obiettivo?
“Non voglio ancora pensare all’obiettivo finale. In questo periodo voglio poter tornare a casa la sera sapendo di aver dato il massimo in allenamento. La gara? Spero di svegliarmi anche stavolta alle 9.30, spero di vivere la competizione nel migliore dei modi, carica ma tranquilla”.

Un pensiero a una medaglia non può non esserci…
“Ovviamente c’è, inutile negarlo. Ho le capacità per arrivare in fondo, sono dieci anni che faccio questo genere di gare. Tante ragazze meriterebbero la soddisfazione di una medaglia olimpica e a Rio saremo tutte pronte a combattere per un sogno, per il coronamento di una carriera. Cosa sogna un bambino che ama lo sport? Un oro olimpico. A Rio può succedere di tutto, il livello sarà altissimo”.

Hai visto Casa Italia, ti sei informata sul villaggio olimpico di Rio de Janeiro?
“Assolutamente no. Voglio vivere tutto come una grande sorpresa. So che la location di Casa Italia è pazzesca, ma l’idea è quella di rimanere con gli occhi spalancati una volta lì. Altrimenti che gusto c’è?”.

Quali sono, se ci sono, i riti scaramantici prima di una gara?
“Avevo alcuni riti scaramantici, come indossare in gara una maglietta portafortuna o gareggiare con una stessa sciabola. Niente di eclatante, ma comunque oggi la scaramanzia non più parte di me”.

Chi è Irene Vecchi al di fuori della scherma?
“Sono innamorata della mia Livorno e, ovviamente, del mare. Amo passeggiare sulla spiaggia, fare l’aperitivo con le amiche con lo sguardo rivolto al Tirreno. Mi piace molto leggere e anche cucinare, anche se sono una capra! La scherma porta via tanto tempo ma dopo aver vissuto Londra anche come turista, dato che non vi ero mai stata, spero di riuscire a fare la stessa cosa anche a Rio”.

Dieci anni di gare ad alto livello, ma sei ancora giovane. Un pensiero a Roma 2024 qualora i Giochi Olimpici fossero assegnati all’Italia?
“Perché no? Sarebbe bellissimo. In casa, con il tifo e la passione dei nostri appassionati, per di più in una città pazzesca come Roma. Vivo la mia carriera passo dopo passo, vedremo cosa accadrà. Intanto speriamo di portare a casa qualcosa da Rio de Janeiro”.

C’è qualche persona che senti di voler ringraziare in particolare?
“Sicuramente mia mamma Sandra, che mi sopporta e supporta dall’inizio alla fine di ogni giornata. Mi ha sempre spronato ad andare avanti, consolandomi dopo le sconfitte e gioendo con me in seguito alle vittorie. Le devo tanto, se non fosse stata per mia madre non avrei nemmeno iniziato. Ero una bambina timida, introversa, riservata. La scherma mi ha insegnato regole, disciplina, il mio carattere pian piano è venuto fuori. E in pedana ho imparato a vivere”.

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