Editoriali

Rio 2016, volley femminile: un’autodistruzione chiamata Bonitta

Esultanza Italia volley - Qualificazione Rio 2016 - Foto Cev

In questi giorni, all’Olimpiade di Rio de Janeiro, l’Italia si è tolta non poche soddisfazioni, portando a casa nove medaglie nelle prime tre giornate. Queste però non possono far passare inosservate le cocenti delusioni che stiamo cominciando ad accumulare in questi giorni: giusto oggi Arianna Errigo, clamorosa favorita per l’oro nel fioretto femminile, non è stata in grado di raggiungere i quarti, nel nuoto (Detti escluso) nessun atleta sia è nemmeno avvicinato ai propri limiti e siamo stati uno dopo l’altro eliminati senza scuse nelle batterie e Federica Pellegrini non ha ruggito forse come avrebbe potuto, ed in altre situazioni abbiamo gettato al vento occasioni più uniche che rare.

Una delle delusioni maggiori arriva però dalla pallavolo femminile, arrivata a Rio con tanti buoni propositi. Forse è un po’ presto per fasciarsi la testa, o forse è troppo tardi, ma dopo tre partite sulle cinque previste nel girone di qualificazione ai quarti di finale del torneo olimpico di pallavolo femminile c’è solo di che preoccuparsi al momento. Non c’è squadra, non ci sono reali trame di gioco, la difesa è un colabrodo e nemmeno giocatrici di punta di una classe pazzesca ed in forma smagliante possono fare tutto da sole (in sintesi, Egonu). E se c’è un colpevole più degli altri, questa volta il dito è da puntare contro Bonitta, il commissario tecnico della Nazionale, che nel percorso di avvicinamento all’Olimpiade e nell’Olimpiade stessa si è reso protagonista di non poche scelte quantomeno discutibili.

Evitando il discorso dei rapporti interpersonali tra Bonitta ed alcune componenti della squadra, trascurabili in questa sede, cominciamo col parlare della palleggiatrice, il ruolo probabilmente più importante e certamente più delicato nella pallavolo. Dopo i tornei di avvicinamento all’Olimpiade e di prequalificazione, dove a mostrare netti miglioramenti e grandi doti tecniche e tattiche ci aveva pensato Ofelia Malinov, che aveva imbastito con Sylla, Egonu e le centrali un’intesa invidiabile ed efficace, al momento delle convocazioni la Malinov è stata lasciata a casa: Leo Lo Bianco, già ritirata, ha deciso di riprovarci (forse il tempismo non è dei migliori?), e ben venga poter avere in Nazionale una ragazza così forte e con così tanta esperienza, ma al suo fianco è stata portata Alessia Orro, ragazza promettente ma che al momento è nettamente inferiore alla Malinov. Perché?

Oltre al danno, la beffa: è proprio la Orro quella scelta costantemente come titolare nelle tre partite giocate. La regia non ha funzionato, troppe le alzate sbilenche, troppi gli errori di gestione del punto e numerose anche le disattenzioni banali, difficilmente accettabili anche a livelli ben più bassi. Leo Lo Bianco è entrata in ogni partita in soccorso della giovane promessa azzurra, ma sempre troppo tardi ed ovviamente palesando un’intesa lontana dalla perfezione con le schiacciatrici e le centrali a sua disposizione. La Malinov era necessaria e decisiva? Non lo sapremo mai, eppure lo possiamo sospettare con una certa sicurezza.

La scelta di far giocare la Orro è stata poi peggiorata da un comparto di ricezione falloso ed impreciso. Sylla e Delcore, le schiacciatrici di posto 4, hanno mostrato un deciso calo di forma e concentrazione rispetto alle uscite di solo un mese fa, e la sola De Gennaro, la nostra libero, non ha potuto dare man forte alla regia della palleggiatrice, semplificandole il compito arduo. Alla difesa colabrodo ha fatto compagnia anche il sistema di coperture lento e macchinoso, che spesso ha portato allo spreco dei contrattacchi che le nostre avversarie ci hanno concesso.

Ad una Sylla ed una Delcore opache si necessitava una risposta repentina: un cambio, che però la sola Ortolani poteva rappresentare. A disposizione c’era anche la Gennari, infortunata e di conseguenza inutilizzabile. Anche in questo caso, probabilmente, una differente convocazione era obbligatoria, un piano B a cui l’Italia non ha mai potuto affidarsi grazie alla presenza di sole tre ali.

Dove al contrario avevamo dei cambi, ma purtroppo non utilizzati, è nel comparto delle centrali. Ricordando i problemi in ricezione ed in copertura già spiegati, è difficile poter pensare di utilizzare spesso in attacco con soluzioni veloci ed imprevedibili le nostre Chirichella e Guiggi, che però a muro dovevano decisamente dare molto di più. In pochi casi abbiamo rispedito in maniera vincente nel campo delle avversarie i loro attacchi, mentre troppo spesso siamo andati a muro scomposti e non pronti, dando praticamente la chance alle schiacciatrici avversarie di sfruttare il nostro fondamentale a loro favore, soprattutto se come detto le coperture non davano man forte.

E se Guiggi, soprattutto, e Chirichella non si sono dimostrate all’altezza, perché non dare mai la possibilità alla Danesi, giovanissima bresciana in netta crescita, di confermare quanto di ottimo dimostrato nei mesi scorsi, anche in Nazionale dove più di una volta ha tolto le castagne dal fuoco con muri precisi ed attacchi potenti?

Dopo tre sconfitte per 3-0, dove l’unico set davvero ben giocato è stato il primo, quello con la Serbia, contro la quale comandavamo 24-22 prima di due errori in ricezione ed un fallo di “doppia” in alzata che ci sono costati il parziale, la qualificazione è appena ad un filo e probabilmente sarà negata già nelle prossime ore dai risultati delle altre squadre e l’eliminazione brucia non solo per il risultato in sé ma anche per come è arrivata, senza gioco, senza squadra e senza scelte coraggiose e davvero sensate.

E nonostante tutto non c’è da disperare per il futuro: la squadra è estremamente giovane ed estremamente di talento. Sylla nonostante l’Olimpiade sottotono è un diamante prezioso da sgrezzare, per il suo gioco e per la sua carica che “fa gruppo”, Orro e Malinov sono una base solida ed indispensabile per gli anni futuri, anche se al momento doveva essere la Malinov quella da scegliere, e poi c’è Paola Egonu, l’unica vera stella olimpica della squadra azzurra: fisicamente è una bomba, è potente, carica, di classe, brava di potenza, brava di fino, brava al servizio e non ha ancora 18 anni (ed a tenuto a galla l’Italia per quanto possibile, praticamente da sola). C’è tanto da lavorare ma c’è tanto di cui rallegrarci… non certo di Rio 2016, una pagina grigia da cancellare il prima possibile.

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