Amarcord

Barcellona 1992: la storia della XXV Olimpiade

Anella Olimpica Barcellona 1992 - Foto Amadalvarez CC BY 3.0

I giochi olimpici di Barcellona furono quelli di un mondo profondamente differente da quello che aveva sfilato quattro anni prima a Seul. Il crollo del muro di Berlino nel 1989 portò all’unificazione della Germania, la liberazione di Nelson Mandela nel 1990 tolse l’embargo al Sudafrica, e nel 1991 Unione Sovietica e Jugoslavia cessarono di essere nazioni unitarie. Fu così che alla fine in testa al medagliere non ci fu una vera e propria nazione, ma la cosiddetta Comunità degli Stati Indipendenti, che raggruppava tutte le ex nazioni sovietiche tranne le già indipendenti Estonia, Lettonia e Lituania. Fu una squadra messa insieme dal presidente del Comitato Olimpico, Juan Antonio Samaranch per evitare che i singoli nuovi stati, senza soldi in cassa per poter finanziare la spedizione olimpica, non potessero portare i fortissimi atleti dell’ex URSS. Il nome ufficiale fu Squadra Unificata, chiamata da tutti più semplicemente CSI, e alla fine ottenne più medaglie di tutti, 112, di cui ben 45 d’oro.

Samaranch non fu decisivo solo per la riammissione degli ex sovietici, ma per la stessa assegnazione dei giochi olimpici alla città catalana. Nato e cresciuto proprio a Barcellona, negli anni 60 consigliere comunale della città, dal giorno del suo insediamento come presidente del CIO fu chiaro che uno dei suoi obiettivi era quello di portare per la prima volta i giochi a casa. Ci riuscì, sconfiggendo la concorrenza di Parigi, e mai un’edizione dei giochi rivoluzionò una città come successe a Barcellona. Negli anni ’80 il capoluogo della Catalogna, uscito dalla dittatura franchista, non aveva ancora avuto la forza di cambiare marcia, come aveva iniziato invece già a fare Madrid. Ma con l’assegnazione dei giochi olimpici si definì un progetto ambiziosissimo, con il governo centrale spagnolo che stanziò l’equivalente di 8 miliardi di dollari per far entrare Barcellona nel XXI secolo. Fu completamente ridisegnato il sistema stradale, come quello fognario, furono abbattute decine di palazzi e strutture per rendere la città aperta e accogliente. Molti criticarono questa vera e propria rivoluzione, e i ritardi a un certo punto furono preoccupanti per lo svolgimento stesso dei giochi, ma alla fine tutto fu pronto, il progetto vinse il premio per il miglior disegno urbano della Harvard University, e ancora oggi Barcellona viene riconosciuta come una città moderna e ben sviluppata.

Dopo una stupenda cerimonia d’apertura, con la musica di Ryuichi Sakamoto e la fiamma olimpica accesa da un arciere paraplegico con una freccia infuocata, il 25 luglio ebbero inizio i giochi. Se spesso i giochi olimpici sono ricordati per le imprese di singoli atleti, in quell’occasione furono due squadre a rendersi indimenticabili. La prima fu senza dubbio il Dream Team. Per la prima volta infatti nella pallacanestro furono ammessi ai giochi gli atleti professionisti. Gli Stati Uniti, che con i giocatori del college avevano perso 3 delle ultime 5 medaglie d’oro, convocarono quindi il meglio del basket NBA, con una squadra probabilmente irripetibile. Michael Jordan, Larry Bird, David Robinson, Patrick Ewing, Scottie Pippen, Karl Malone, John Stockton e Charles Barkley sono solo una parte di quell’incredibile formazione. Insieme a loro Magic Johnson, che l’anno precedente aveva annunciato di essere sieropositivo, e che contribuì alla straordinarietà di quella squadra. Non ci fu mai realmente partita con gli avversari, gli USA vinsero tutte le partite con una media di 44 punti di vantaggio, ma lo spettacolo davanti agli occhi degli spettatori fu fantastico. In finale, contro una Croazia infarcita di grandi giocatori come Toni Kukoč, Dražen Petrović e Dino Radja, finì 117-85 e il podio con le dodici stelle del Dream Team fu uno dei più grandi momenti di quei giochi.

La seconda fu invece italiana, e anche se i nomi del Settebello non erano altisonanti come quelli del Dream Team, l’impresa che portò all’oro nella pallanuoto non fu assolutamente minore. La finale fu disputata nella bellissima piscina del Parco Olimpico di Montjuïc, contro i padroni di casa della Spagna, che contava nelle proprie fila ben 9 giocatori proprio di Barcellona. Le due squadre si erano già scontrate nel girone di qualificazione, e finì con un pareggio. L’equilibrio sembrava impossibile da spezzare anche in finale, quando gli spagnoli segnarono a 34 secondi dalla fine la rete della rimonta che portò ai supplementari. Qui i padroni di casa si portarono in vantaggio a 42 secondi dallo scadere, ma 20 secondi dopo Massimiliano Ferretti rese necessario un altro supplementare. Alla fine ne servirono addirittura 6 fino a quando, con le squadre stremate, Ferdinando Gandolfi sfruttò una disattenzione della squadra spagnola e realizzò a 32 secondi dalla fine. Gli spagnoli si riversarono in attacco, ma i loro sogni d’oro si infransero su una traversa appena prima dello scadere. Il Settebello tornò così alla medaglia più pesante, 32 anni dopo il trionfo di Roma.

Nell’atletica, per una volta, la gara più avvincente non fu quella dei 100 metri maschili (nella quale, con Carl Lewis che aveva mancato la qualificazione, vinse il trentaduenne inglese Linford Christie), ma l’equivalente femminile, con quattro atlete che scesero sotto i 10,90” e la vittoria finale di Gail Devers, che pochi mesi prima aveva rischiato l’amputazione di un piede per un problema alla tiroide e che poi, nella sua specialità preferita, i 110 ostacoli, perse l’oro inciampando all’ultima barriera. Altri grandi personaggi furono l’algerina Hassiba Boulmerka, che vinse i 1500 metri malgrado le minacce delle frange estremiste del suo paese, che non volevano che corresse a gambe scoperte, lo spagnolo Fermín Cacho, che tra il tifo del pubblico di casa sconfisse incredibilmente i fortissimi africani nei 1500 maschili, e Derek Redmond, la cui immagine durante i 400 metri rimase impressa a tutti gli spettatori: caduto all’ultima curva, si infortunò gravemente, ma cercò comunque di arrivare in fondo. Il padre, dalla tribuna, superò la sicurezza e si lanciò in suo aiuto, facendogli tagliare poi da solo il traguardo e prendere l’ovazione dell’intero stadio.

L’atleta singolo che vinse più medaglie venne invece dalla ginnastica, dove Vitaliy Scherbo portò a casa addirittura sei ori. Proveniente dalla Bielorussia, competeva sotto la bandiera della CSI, ed era tra i favoriti, avendo vinto due gare nei mondiali svoltisi a Parigi pochi mesi prima. Ma nessuno pensava potesse vincere 6 delle 8 gare della ginnastica artistica, compresa quella alla gara degli anelli, orfana del favoritissimo, il nostro Jury Chechi, fermato da una rottura del tendine d’Achille un mese prima dei giochi.

L’Italia alla fine riuscì a ottenere 19 medaglie, di cui 6 d’oro. Oltre a quella nella pallanuoto, due arrivarono dal ciclismo, una con lo sprinter Giovanni Lombardi nella corsa a punti e una con Fabio Casartelli nella corsa su strada. Entrambi sarebbero diventati presto professionisti, ma se Lombardi vinse quattro tappe al Giro d’Italia e fu uno dei migliori gregari di Mario Cipollini, Casartelli perse la vita durante una tappa del Tour de France, cadendo in una discesa sui Pirenei e colpendo con la testa un pilone a bordo strada. Due arrivarono invece dal fioretto femminile, che per vent’anni sarebbe poi quasi sempre stata una specialità dominata dalle azzurre. Giovanna Trillini vinse l’individuale e con Diana Bianchedi, Francesca Bortolozzi, Dorina Vaccaroni e Margherita Zalaffi anche la gara a squadre. Per la Trillini, allora ventiduenne, si trattò delle prime due medaglie olimpiche: ne sarebbero arrivate altre 6, l’ultima a Pechino nel 2008. Il sesto oro fu quello più inaspettato, e arrivò con Pierpaolo Ferrazzi nello slalom kayak, specialità che proprio a Barcellona fece il suo ritorno ai giochi. Dopo una prima manche deludente, le possibilità di medaglia sembravano nulle, tanto che la Rai non mandò giornalisti sul campo di gara e non trasmise la diretta. Ma la seconda manche fu praticamente perfetta, Ferrazzi superò uno a uno tutti gli avversari, portandosi a casa così alla medaglia più importante.

Arrivarono poi due medaglie dal canottaggio, con l’argento dei fratelli Abbagnale per la prima volta sconfitti dopo due ori olimpici e sette vittorie ai mondiali, e il bronzo del quattro di coppia, dal nuoto, con i bronzi di Stefano Battistelli e Luca Sacchi e dal tiro a volo, con i terzi posti di Marco Venturini e Stefano Rossetti. Il ciclismo regalò anche l’argento della 100km a squadre, e la canoa, oltre a Ferrazzi, fece conoscere anche Antonio Rossi, che insieme a Bruno Dreossi vinse il bronzo nel K2 500 metri, prima delle sue 5 medaglie olimpiche. Le ultime 4 medaglie arrivarono dal Judo (argento con Emanuela Pierantozzi nei pesi medi), dalla lotta greco-romana (argento con Vincenzo Maenza nei pesi mosca, alla terza medaglia consecutiva dopo gli ori di Los Angeles e Seul), dall’atletica leggera (bronzo con Giovanni de Benedictis nella 20km di marcia) e dalla squadra di pentathlon moderno maschile.

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